I rapporti di diverse ARPA, Regioni, e istituti locali fanno vedere in Italia, anche a scala regionale, i segnali del cambiamento climatico.
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“Gli indicatori climatici dell’anno 2009”, il rapporto compilato dall’ISPRA con il contributo di ARPA regionali, Regioni, Province autonome e il Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare, mostra dei risultati di grande interesse riguardo l’evoluzione del clima in Italia.
Come detto in un precedente post, il segnale termico di aumento su scala nazionale è incontrovertibile e mostra valori superiori al trend globale, in linea con l’individuazione dell’area mediterranea quale “hot spot” del cambiamento climatico.
Per le precipitazioni, invece, il segnale di diminuzione è più incerto e variabile da area ad area. Al nord appare chiaro per le precipitazioni annuali, non così sembra al sud dove prevale la variabilità interannuale.
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Adottando uno sguardo “regionale”, si rafforzano le conclusioni sul campo termico e diminuiscono anche alcuni dubbi e incertezze sulle piogge.
Senza nessuna pretesa di esaustività, riassumiamo alcuni risultati, accessibili sui siti web istituzionali.
Nel capitolo del rapporto del 2009 intitolato Relazione dello stato dell’Ambiente Emilia Romagna, dall’analisi dei dati di 45 stazioni uniformemente distribuite sul territorio regionale, si evidenzia un chiaro trend climatico sul periodo 1961-2008 delle temperature massime e minime (medie annuali). Il contributo più importante alla crescita, sia nei valori minimi che massimi di temperatura, è dovuto in genere alla stagione estiva, anche se tale segnale di crescita è visibile in tutte le stagioni.
L’andamento delle precipitazioni annue rilevate da una rete di circa 90 stazioni – uniformemente distribuite anch’esse sul territorio regionale – mostra una tendenza di diminuzione per il periodo 1961-2008, diminuzione dovuta soprattutto alla stagione invernale e meno alla stagione primaverile ed estiva. Continua a leggere…
In un’intervista pubblicata da Repubblica del 20 maggio, il Prof. Franco Prodi ha affermato che “in questi 50 anni il clima in Italia è cambiato davvero poco”, che il riscaldamento in Italia “è nella media internazionale” e che “non siamo in condizione di prevedere il cambiamento climatico futuro”. I dati e la letteratura scientifica mostrano un quadro molto diverso.
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È già capitato su questo blog di raccontare le imprecisioni e gli errori in cui incorre Franco Prodi quando parla e scrive di cambiamenti climatici. Numeri sballati, fraintendimenti, che l’hanno fatto diventare il climatologo preferito da Giuliano Ferrara e da chi vuole negare la gravità della situazione climatica.
L’intervista pubblicata su Repubblica di Venerdì 20 maggio si inserisce nel medesimo filone; un articolo che ha avuto lo spazio di un’intera pagina, con un affermazione in grande risalto nel titolo “Il nostro clima non è cambiato”.
Il clima è cambiato, eccome
Nell’articolo il Prof. Prodi sostiene infatti che “in questi 50 anni il clima in Italia è cambiato davvero poco” e che a proposito di surriscaldamento del pianeta “siamo nella media internazionale”.
Come mostreremo anche nei prossimi post, le cose non stanno affatto così. I dati e la letteratura scientifica disponibili offrono il quadro opposto. Se si considera il periodo di riferimento del Quarto Rapporto IPCC, dal 1906 al 2005, le temperature in Italia sono aumentate di 1,3 °C, il 75 % in più dell’aumento della media globale (0.74°C). Continua a leggere…
Un rapporto dell’Accademia delle Scienze statunitense ribadisce i pericoli dei cambiamenti climatici, la necessità di azioni immediate e indica le strade delle possibili soluzioni.
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L’Accademia Nazionale delle Scienze (NAS) americana nasce nel 1863 per volere del Presidente Lincoln. Lo scopo dichiarato era quello di avere il parere di esperti indipendenti per tutte le questioni scientifiche politicamente rilevanti, in modo da consentire ai decisori politici di fare le opportune scelte sulla base di informazioni attendibili. Nel loro sito campeggia in bella mostra la scritta “Dove la nazione si rivolge per un parere indipendente ed esperto”.
In passato la NAS aveva già prodotto rapporti importanti per la scienza del clima, ad esempio sul tema delle temperature degli ultimi 2000 anni.
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Due anni fa il Congresso chiese alla NAS un rapporto sulla scienza dei cambiamenti climatici e su quali opzioni avessero gli Stati Uniti per mitigarne gli effetti e mettere in atto opportuni interventi di adattamento per quanto non fosse evitabile. Il risultato sono stati quattro volumi, pubblicati fra maggio e luglio 2010, più il rapporto finale pubblicato pochi giorni fa, collettivamente chiamati “America’s Climate Choices”.
Il primo volume, “Advancing the Science of Climate Change”, si occupa di fare il punto su quanto è noto sulla scienza del clima. Il secondo, “Limiting the Magnitude of Climate Change”, tratta le possibilità di limitare gli effetti
Il terzo, “Adapting to the Impacts of Climate Change”, dei necessari adattamenti a quanto non si riuscirà ad evitare.
Il quarto, “Informing the effective Response to Climate Change”, infine, si occupa di come gestire le informazioni dal livello federale a quello locale e dei rapporti fra scienza, agenzie governative e decisori politici. Continua a leggere…
Sul web è disponibile molto materiale per parlare di cambiamenti climatici nelle scuole.
In questo post viene presentato un primo elenco, senza alcuna pretesa di esaustività, invitando studenti e insegnanti a segnalare nei commenti altro materiale utile.
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MATERIALE DIDATTICO
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Progetto “Consumi amici del clima”
Un progetto congiunto WWF – Politecnico di Milano con il contribuito della Fondazione Cariplo, per sensibilizzare i ragazzi al problema dei cambiamenti climatici, stimolandoli ad adottare comportamenti e stili di vita “amici del clima”, ovvero che producono meno emissioni di gas serra in atmosfera.
Il progetto ha reso disponibile sul web materiale didattico molto interessante, a partire dalla presentazione in powerpoint introduttiva, gli esercizi per i 6 moduli o il glossario.
Una descrizione sintetica delle attività e dei risultati è disponibile in questo articolo. Continua a leggere…
In una trasmissione televisiva di prima serata si parla di energia nucleare e l’unico “esperto” invitato rimedia una pessima figura. Che sia stato invitato apposta?
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I lettori di Climalteranti conoscono già le corbellerie del Prof. Franco Battaglia, primatista di errori e pasdaran del negazionismo sui cambiamenti climatici. Ultimamente il professore si è dedicato alle strategie energetiche, nucleari soprattutto, in una decina di articoli pubblicati sul quotidiano “Il Giornale”.
Invitato alla trasmissione televisiva Annozero del 28 aprile, ha ripetuto i suoi argomenti classici (“Il fotovoltaico ed eolico e solare sono una colossale frode”) e aggiunto affermazioni mozzafiato (“Cernobyl è una colossale mistificazione mediatica”), destando lo sconcerto degli interlocutori (“Ma è un film?” si domandava esterrefatto Angelo Bonelli. “Mi può dire il suo curriculum scientifico?” chiedeva perfido Antonio Di Pietro. “È un professore”, spiegava Maurizio Lupi) e lo scherno del pubblico televisivo, come si vede da una semplice ricerca sul web. Continua a leggere…
Un prodotto didattico sviluppato dal CNR-IBMET e disponibile sul web permette a tutti di guardare da vicino i dati dei cambiamenti climatici.
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Si chiama Climate-scope ed è una piattaforma di condivisione di contenuti digitali basata sulla tecnologia di Google Earth plugin. E’ uno degli strumenti RIA (Rich Internet Application) per guardare da vicino la dinamica del fenomeno “climate change”, sia nelle anomalie globali che negli effetti locali, e secondo il paradigma collaborativo del Web 2.0, ha lo scopo di permettere a chiunque di aggiungere informazioni e dati raccolti. Ognuno ha cosi la possibilità di osservare e raccontare il cambiamento legato alle vicende climatiche che avvengono nel proprio territorio e arricchire la comprensione dei fenomeni ambientali complessi. Siamo nel
solco di quella che alcuni definiscono Citizen Science, nuovo modello in cui divulgazione, formazione e ricerca possono convivere, con pari dignità, in un stesso “ecosistema” informativo volto alla definizione di temi scientifici complessi. Il Climate-Scope è un prodotto sviluppato dal CNR IBIMET all’interno del progetto europeo RACES, Races Raising Awareness on Climate and Energy Savings, finanziato dal programma europeo LIFE+ e coordinato dal Comune di Firenze. Continua a leggere…
Cinque lezioni impartite a caro prezzo da Fukushima – perché ciò che è successo tenderà a ripetersi e tutto il mondo deve essere pronto.
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Dopo il terremoto dell’11 marzo 2011, lo tsunami e le esplosioni alla centrale atomica di Fukushima, siamo nel mezzo di una crisi gravissima e non sappiamo come andrà a finire. Come dice il negoziatore UE per i cambiamenti climatici “We haven’t seen the end of what is going to happen in Fukushima…So certainly it is something that has an impact on climate negotiations”.
Rappresenterà la fine dell’energia atomica nel mondo o un ripensamento sulle sue caratteristiche di sicurezza? Segnerà una svolta in un paese cardine dell’ordine economico mondiale? Sarà causa di sconfitta elettorale dei partiti pro-atomici? O invece qualcuno lo considererà solo un incidente di percorso, che avrà dimostrato la grande efficienza e competenza degli operatori del settore e delle Agenzie per la sicurezza nucleare? Continua a leggere…
La produzione di petrolio e gas naturale ha ormai raggiunto o sta per raggiungere il suo picco e ciò potrebbe avere importanti conseguenze sull’ampiezza del riscaldamento globale futuro. In questa seconda parte del post sono presentate alcune proiezioni climatiche, svolte nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Fisica all’Università di Trento, utili per valutare le conseguenze imposte dalle limitazioni geologiche alla futura disponibilità di energia di origine fossile e per stimare la probabilità che un suo esaurimento eviti un cambiamento climatico pericoloso.
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Diversi enti internazionali e compagnie petrolifere hanno proposto stime delle riserve accertate di combustibili fossili (BP, 2009; EIA, 2005-2009; USGS, 2000).
Si tratta di stime (riportata nella figura a fianco in termini di emissioni potenziali di CO2, assieme con le emissioni storiche cumulate fino alla fine del 2008) che considerano solo i quantitativi realmente accertati (ad eccezione di USGS che include anche parte delle risorse), perché se si considerano i quantitativi presunti le stime diventano assai variabili a seconda delle diverse fonti, a denotare una forte componente di soggettività e quindi inaffidabilità.
Non considerano altresì le risorse non convenzionali, quali sabbie e scisti bituminosi, greggio pesante ecc., già sfruttate o che molto probabilmente lo saranno in futuro. Continua a leggere…
Secondo un articolo del prof. Guido Visconti sul Corriere della Sera, la teoria di Milanković sarebbe messa in discussione dalla scoperta di uno sbilanciamento delle paleo-temperature antartiche verso caratteristiche invernali. Ma la teoria di Milanković rimane solida.
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Già in una precedente occasione, il prof. Guido Visconti non si era dimostrato un grande estimatore della teoria dei cicli glaciali di Milanković (ne avevamo già parlato qui). Recentemente ha calcato la mano sul Corriere della Sera prendendo spunto da un nuovo studio tedesco di Laepple et al. intitolato: “Sincronismo delle temperature antartiche e dell’irraggiamento solare locale a scala temporale orbitale” comparso su Nature qualche settimana fa. Un articolo un bel po’ tecnico, apprezzato, oltre che dal prof. Visconti, solo da qualche altro raro buongustaio.
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I fatti: questo nuovo studio propone l’esistenza di un artefatto nelle registrazioni degli isotopi stabili, degli indicatori della temperatura atmosferica locale, contenuti nelle carote di ghiaccio dell’Antartide (per una bella rassegna in italiano si può vedere qui). Questo perché in Antartide le precipitazioni nevose invernali sarebbero maggiori di quelle estive. E siccome è la neve in sé che registra la temperatura atmosferica, allora questi record di temperatura sarebbero sbilanciati verso caratteristiche invernali.
A questo punto gli autori prendono la curva temporale dell’insolazione dell’Antartide (su scala orbitale, 10 mila-100 mila anni) e la “adattano” secondo la regola della prevalenza delle precipitazioni invernali e… sorpresa! La curva dell’insolazione locale “adattata” segue quasi perfettamente la curva della temperatura atmosferica dell’Antartide. Ma non è finita. Questa curva, altro non è che… la curva dell’insolazione solare estiva sull’Artico (sì, Artico: emisfero Nord).
Ora non preoccupatevi se vi viene voglia di rinunciare a capire e dovete rileggere le righe sopra tre volte e magari non sono ancora chiare. A me questo studio ha fatto venire il mal di testa per una settimana. Perché? In primo luogo, le conclusioni cui si arriva possono essere opposte. Ovvero, l’insolazione estiva dell’Artico sarebbe in fase con le temperature (invernali?) registrate in Antartide. Tuttavia l’insolazione “adattata” dell’Antartide ricalcherebbe le temperature antartiche (basta leggere il titolo dello studio). Ma possono le temperature “invernali” locali dipendere in qualche modo dall’insolazione in Antartide quando qui, tanto per intenderci, è buio? E per tornare al prof. Visconti: cosa centra Milanković in tutto questo? Continua a leggere…
La produzione di petrolio e gas naturale ha ormai raggiunto o sta per raggiungere il suo picco e ciò potrebbe avere importanti conseguenze sull’ampiezza del riscaldamento globale futuro. In questa prima parte del post presentiamo lo stato dell’arte delle attuali proiezioni climatiche che tengono conto anche dell’esaurimento dei combustibili fossili.
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Secondo il Quarto Rapporto dell’IPCC la superficie terrestre si è scaldata in media di circa 0,8 °C dal periodo preindustriale, principalmente in seguito all’immissione in atmosfera di gas serra derivanti in gran parte dall’utilizzo estensivo dei combustibili fossili. Le proiezioni climatiche attuali indicano che alla fine del secolo la concentrazione atmosferica del principale gas serra, la CO2, potrebbe sforare le 1000 ppm, e la temperatura globale raggiungere valori compresi tra +1,8 e oltre +4 °C rispetto alla media del periodo 1980-2000. Tuttavia, l’ampiezza di tali cambiamenti dipende fortemente dallo scenario di emissioni da cui le proiezioni vengono ottenute. Continua a leggere…
Dall’esame della letteratura scientifica che si occupa di mitigazione dei cambiamenti climatici, pubblicata prima dell’incidente alla centrale di Fukushima-I, emerge che l’energia nucleare non giocherà un ruolo decisivo e che è possibile farne a meno senza rinunciare a un’ambiziosa riduzione delle emissioni climalteranti.
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La tragedia del terremoto e dello tsunami che ha colpito il nord del Giappone, e i conseguenti danni alla centrale nucleare di Fukushima-I hanno ravvivato il dibattito sull’uso dell’energia da fissione nucleare. Le conseguenze sono ancora da accertare ma l’incidente sembra destinato a frenare le prospettive di sviluppo di questa opzione tecnologica.
Senza entrare nel merito del dibattito sui pro e i contro dell’energia nucleare, in questo post si intende confutare una tesi sostenuta da diversi commentatori, secondo cui l’energia nucleare è indispensabile.
“Io rimango convinto che il mondo non può fare a meno del nucleare per sopravvivere,” ha dichiarato il senatore Umberto Veronesi. “Una fonte indispensabile,” ha dichiarato il giornalista Giuliano Ferrara. Secondo Pippo Ranci “il prezzo più elevato (della rinuncia al nucleare, ndr) sarebbe l’abbandono delle politiche per il clima… per uscire da una catastrofe improbabile andremmo a cercarne un’altra forse meno improbabile,
quella del riscaldamento globale”.
Su Repubblica del 19 marzo Veronesi è stato ancora più esplicito, arrivando a sostenere che sia “scientificamente vero” che “senza l’energia nucleare il nostro pianeta, con tutti i suoi abitanti, non sopravviverà” e che “la scelta dell’energia nucleare è dunque inevitabile…“. Continua a leggere…
Il grande pubblico chiede sempre chiarimenti sui concetti base scritti in modo piano, i fondamenti che i siti negazionisti tentano sempre di negare. Riteniamo utile perciò tradurre questo post – scritto da Gavin Schmidt su RealClimate nel 2007, ma certo non invecchiato – sui concetti base della climatologia e del cambiamento climatico in corso.
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Spesso ci viene chiesto di spiegare in termini semplici perché l’aumento della CO2 costituisca un problema significativo, senza basarci sui modelli climatici. Noi siamo in generale felici di farlo. La spiegazione è costituita da un certo numero di passi; spesso tendono ad essere confusi e così cercheremo di tenerli separati. Continua a leggere…
Sull’ Italian Journal of Engineering Geology and Environment è stato pubblicato nel dicembre 2010 l’articolo “Anidride carbonica e temperatura globale: prospettiva storica e nessi causali” di Uberto Crescenti e Luigi Mariani.
Come segnalato dai lettori, l’articolo non rispetta i criteri delle pubblicazioni scientifiche. Analizziamo per ora gli errori e fraintendimenti presenti in tre figure, mentre invitiamo i lettori a fare altrettanto con il testo. Come si usa nelle revisioni, vanno indicati, il numero della pagina, la colonna, la riga e l’oggetto della revisione.
Le osservazioni dei lettori saranno valutate dai membri del Comitato Scientifico, e considerate ai fini di una lettera che sarà inviata alla redazione della rivista contenente le richiesta di rettifica.
1) Pagina 53, Figura 1
La figura 1 mostra la variazione di temperatura nel sito GISP2 in Groenlandia, come se fosse rappresentativa della temperatura globale, per negare la relazione fra CO2 e riscaldamento globale e sostenere che “le quattro grandi fasi calde oloceniche precedenti all’attuale (grande optimum postglaciale, optimum, miceneo, optimum romano e optimum medioevale, Fig. 1) siano avvenute con livelli di CO2 stazionari e inferiori del 35% a quelli odierni.” Continua a leggere…
Pubblichiamo la traduzione di questo importante testo di Chris Colose, pubblicato su Realclimate ove ha dato origine ad un vivace dibattito.
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I processi di feedback nel sistema climatico sono di grande interesse tra gli esperti poiche’ non ne si capisce ancora l’esatto meccanismo e perche’ sono la fonte di maggior incertezza nelle previsioni sul clima. Difatti, i feedbacks agiscono molto spesso controintuitivamente a quanto ci si possa aspettare.
Il miglior modo per spiegare cosa siano i feedback e’ immaginarli come dei processi che amplificano enormemente o riducono drasticamente una forzante iniziale. Per forzante si intende tipicamente una forza esterna persistente nel tempo. Se tale forza, generalmente radiativa (come per esempio l’aumento di CO2 nell’atmosfera) , e’ abbastanza grande da provocare un cambiamento di temperatura che non puo’ essere bilanciato dalla capacita’ termica degli oceani di assorbire il calore in eccedente dall’atmosfera, allora si inizia a parlare di cambiamento climatico. Per cui, un cambiamento climatico puo’ essere definito tale se il bilancio radiativo energetico del sistema Terra viene alterato. Per chiarire ulteriormente il concetto di feedback, immaginiamo la Terra come un sistema composto da molte variabili. Se una di queste variabili viene amplificata energeticamente e per un tempo abbastanza lungo si scatena una serie di processi che possono portare a due risultati: o la variabile iniziale viene ulteriormente amplificata (feedback positivo) o la variabile iniziale viene drasticamente ridotta (feedback negativo). Un esempio pratico per capire quanto abbiamo appena affermato e’ pensare alla riduzione dell’estensione dei ghiacci in conseguenza all’aumento della temperatura globale (che consideriamo come la nostra variabile iniziale). La superficie dei ghacciai o degli iceberg e’ bianca, ossia riflette molta radiazione solare. Ma se ai ghiacci che fondono si sotituisce l’oceano che e’ scuro, invece, la radiazione solare che prima era riflessa, viene ora assorbita. Questo provoca un’amplificazione della variabile iniziale, cioe’ l’aumento della temperatura. Continua a leggere…
Nella prima parte di questo post si è preso spunto da una fiction televisiva in cui si faceva confusione tra i problemi del “buco dell’ozono” e del riscaldamento globale. Ora aggiungiamo alcuni dettagli.
La danza dell’ozono
Questo gas si forma nella stratosfera (tra 15 e 50 km di altezza) per azione di raggi ultravioletti (UV) molto energetici, che spaccano le molecole biatomiche dell’ossigeno in due atomi separati, molto reattivi, che aggrediscono altre molecole di O2 trasformandole in O3 triatomico; quest’ultimo può essere scisso in O2 e O da altri raggi UV un po’ meno energetici. Si stabilisce un “equilibrio oscillante”, una danza, tra giorno e notte, con formazione prevalente di O3 di giorno e sua diminuzione di notte a causa di reazioni chimiche parassite. Queste reazioni operano anche di giorno, contribuendo a distruggere parzialmente l’ozono a qualsiasi latitudine.
La circolazione atmosferica in quota tende a uniformare la distribuzione dell’ ozono, tranne che nell’atmosfera al di sopra dell’Antartide, dove la circolazione rimane chiusa e c’è poco scambio con l’aria non antartica (Figura 1).
Il problema è importante perché l’ozono assorbe gran parte della radiazione ultravioletta più nociva per gli esseri viventi (tale radiazione altera o distrugge il DNA e provoca tumori della pelle), tanto è vero che la vita ha potuto svilupparsi al di fuori degli oceani soltanto dopo la trasformazione dell’atmosfera primitiva, da anossica ad ossigenata, promossa dall’attività delle alghe e delle piante foto sintetiche, e dalla conseguente formazione di uno strato di ozono. Continua a leggere…