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17 Novembre 2008

Il riscaldamento globale si è fermato nel 1998?

Categorie: Dibattito, Giornali, Negazionisti, Temperature, Tipping point  -  Postato da: 

E due. Oggi è arrivata la seconda mail di un amico che mi dice: ma che succede a Beppe Caravita ?
Ecco un pezzo della mail: “Beppe Caravita… ha sviluppato un certo scetticismo sul global warming (vedi ad esempio qui e anche qui). Come sappiamo, non è il solo, ma lo scetticismo ideologico alla Battaglia lo capisco facilmente, mentre quello che vedo emergere in persone dallo spirito libero (come Beppe o altri), vorrei capirlo meglio”.

Beppe Caravita, giornalista del Sole 24 ore e autore del blog Network Games, l’ho conosciuto ad un seminario sul clima rivolto ai giornalisti, organizzato dal “Kyoto Desk” della Regione Lombardia.

Un seminario riuscito, anche se non molto partecipato, ma che ricordo per tre fatti che mi stupirono.
Il primo fu che a Sergio Castellari, con me fra i relatori, qualcuno rubò il libro “Verdi fuori, rossi dentro” di Franco Battaglia e Renato Angelo Ricci. Libro che a Sergio avevano regalato e che aveva portato per mostrarmelo… lasciato sul tavolo dei relatori durante la pausa pranzo.. al ritorno.. sparito ! Incredibile.
Il secondo fatto strano fu che i giornalisti intervenuti avevano mostrato un’opinione per la loro categoria molto peggiore di quella che io avevo, e che non era granchè (vedi qui)
Il terzo fatto è che contrariamente alle mie aspettative, Caravita si era mostrato più preoccupato di me per il global warming. Se non ricordo male (nel caso, chiedo scusa) Caravita si diceva molto molto preoccupato per i possibili “tipping point” del sistema climatico… diceva che non ci aveva dormito la notte… e aveva scritto di questo sul suo blog.
Andai a leggere sul suo blog (qui e qui): i toni erano in effetti preoccupati. D’altronde, i motivi ci sono: il tema dei tipping point è molto serio: alcuni articoli scientifici (come questo di Rahmstorf et al.) che hanno inquadrato il tema hanno aggiunto preoccupazione per la crisi climatica, pur se è chiaro che l’unico tipping point che sarà superato nei prossimi decenni sarà quello del ghiaccio marino artico.

È possibile, dunque, che Beppe Caravita abbia cambiato idea ?
Non solo per i toni usati verso uno dei più importanti istituti di ricerca sul tema climatico, il NASA Goddard Institute for Spaces Studies, di James Hansen e Gavin Smidth
(qui “…un’altra pessima figura per il Goddard Institute for Spaces Studies, di cui è direttore James Hansen, il grande sostenitore del global warming antropogenico, e consigliere scientifico di Al Gore. Francamente comincio ad essere un po’ stufo di questo gioco delle tre tavolette…. “).
Si tratta di uno dei soliti piccoli (anzi, molto piccoli) aggiustamenti delle temperature del pianeta, di cui si possono leggere le opposte posizioni su ClimateAudit.org e Realclimate.org. Un tema che mi è apparso piuttosto insignificante, tanto che il post di Realclimate non è stato tradotto in italiano.

Caravita ha dubbi sul fatto che il riscaldamento globale sia in corso (nell’ultimo post sul tema pone la domanda “ha ragione o torto chi sostiene che il global warming si è fermato dal 1998?”)
Si tratta di una domanda che ha ripetuto tante volte, anche in post precedenti mostrando anche grafici in cui si vede la CO2 che aumenta e la temperatura che non aumenta in modo simile.
È un argomento che circola in modo ossessivo fra i negazionisti, ma che è poco fondato.
Ne avevo già parlato nel mio libro (pag. 60) in cui avevo mostrato come in realtà per la serie dati del GISS, il 1998 non è più l’anno più caldo ma viene superato dal 2005. E che se si allarga lo sguardo all’andamento delle temperature negli ultimi 30 anni o degli ultimi 130 anni, la tendenza è chiara: il 1998 è solo un anno con temperature un po’ più alte di quanto avrebbero dovuto essere per assicurare una crescita regolare ed evitare fraintendimenti.

Andamento delle temperature globali dal 1977 al 2007: variazioni rispetto alla temperatura del 1998. (da Caserini, 2008)

In una delle prime traduzione di realclimate, disponibile qui, è raccontato come il fatto che la temperatura non salga in modo costante, come la CO2, è assolutamente in linea con la comprensione fisica del sistema climatico. C’è anche una figura che mostra la probabilità di un record di temperature: per avere un nuovo record di temperature c’è più del 25 % di probabilità di aspettare più di 10 anni.

Posso solo aggiungere il ricordo di quest’estate, a Bonassola. La spiaggia è stata svuotata dalle barche, i primi ombrelloni sono stati tolti: sta arrivando la mareggiata di ferragosto, dicono quelli del posto. Eppure il mare è lontano. Mi siedo sulla spiaggia a leggere, guardo le onde avanzare. Eppure non avanzano, ossia le onde sembrano non risalire la spiaggia. Ogni tanto c’è un onda più lunga, ma subito dopo molte sono piccole, inferiori alle precedenti.
E’ passato tanto tempo prima di veder da vicino la spuma della prima onda. Ma come tanti altri sono rimasto ancora al mio posto, le onde successive stavano lontane.
Dopo un po’ è arrivata l’onda che ha bagnato l’asciugamano.

Testo di: Stefano Caserini


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10 Novembre 2008

C’è anche un altro modo per non rispettare il Protocollo di Kyoto

Categorie: Comunicazione, Costi, Dibattito, Emission trading, Inventario emissioni, Ministero, Politiche, Protocollo di Kyoto  -  Postato da: 

”Se noi non rispetteremo gli obiettivi di Kyoto avremo delle penalizzazioni che possono ammontare a circa 450 milioni di euro l’anno, da qui al 2012”. Questa la stima del ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, in un’intervista rilasciata il 28 ottobre .
Che non rispettare gli obiettivi imposti dal Protocollo di Kyoto abbia un costo, è dunque assodato. Diverse invece sono le cause che potrebbero portare ad un non rispetto degli obblighi di Kyoto: prima tra tutte la perdita dell’eleggibilità.
Per eleggibilità si intende la presenza delle condizioni “formali” basilari che permettano di verficare effettivamente gli impegni sottoscritti: in altre termini la presenza di sistemi di stima delle emissioni di qualità soddisfacenti a ben definiti standard definiti dallo stesso Protocollo.
Le Decisioni della COP/MOP1 n. 9 e n.15 della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC) indicano come condizioni necessarie per il mantenimento del requisito di eleggibilità la produzione annuale dell’inventario nazionale delle emissioni di gas serra, l’istituzione e la gestione del Sistema nazionale per la realizzazione dell’Inventario nazionale dei gas serra (D.Lgs. 51/2008) e l’istituzione ed amministrazione del registro nazionale di Kyoto che include le transazioni dell’Emissions Trading (Dir. 2003/87/CE recepita dai D.Lgs. 216/2006 e D.Lgs. 51/2008).
L’eliggibità non deve essere solo “conquistata”, ma deve garantita in tutto il periodo di vigenza degli impegni.
Per quanto riguarda l’Italia, la stima e la trasmissione dell’Inventario delle emissioni di gas serra, la realizzazione e gestione del Sistema nazionale per la realizzazione dell’Inventario nazionale dei gas serra così come l’amministrazione e la gestione del registro nazionale sono compiti affidati all’ISPRA (*) .
La stima e la trasmissione delle emissioni di gas serra è stata fino ad oggi garantita da un gruppo di lavoro di 10 ricercatori (di cui 7 precari); la gestione del registro nazionale è al momento di fatto garantita da una sola ricercatrice con contratto atipico. Tale personale precario vede oggi compromessa la propria instabile situazione, a seguito della Legge 133/2008 , che opera pesanti restrizioni sul turn over, con il blocco delle stabilizzazioni dei precari, del rinnovo e proroga dei diversi tipi di contratto di lavoro.
E’ a rischio quindi non solo il mantenimento dell’eleggibilità per Kyoto, ma anche il rispetto della tempistica di comunicazione all’Unione Europea delle stime di gas serra (con conseguente attivazione della relative procedure d’infrazione), così come la piena operatività del registro nazionale. Le conseguenze sarebbero l’alterazione dei meccanismi di mercato del sistema di emission trading, transazioni valutabili nell’ordine di un miliardo di euro (1.000M€) nel periodo 2008-2012, con grave danno economico per le aziende italiane interessate.

Ci si chiede come l’Italia ritenga di onorare gli impegni presi a livello internazionale privandosi delle risorse necessarie: istituzioni preposte e personale appositamente formato, non immediatamente sostituibile, se non dopo anni di formazione specialistica.

Forse il nostro Paese, a differenza di altri, non considera la ricerca pubblica, e gli Enti che la svolgono, come una risorsa strategica su cui investire anche, e soprattutto, in tempo di crisi economica internazionale.
Una scelta miope: anche in questo caso i piccoli risparmi dell’oggi sarebbero largamente inferiori ai danni complessivi arrecati all’Italia.

(* ) L’ISPRA(Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nasce dall’accorpamento di tre enti vigilati dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare: APAT (Agenzia per la protezione dell’ambiente e dei servizi tecnici); ICRAM (Istituto centrale per la ricerca sulle acque marine); INFS (Istituto nazionale per la fauna selvatica) con il fine dichiarato di razionalizzare le spese di gestione e amministrazione degli enti. Il nuovo istituto, come riportato nel DL 112/08, eredita tutte le funzioni e le risorse dei tre enti accorpati.

Testo di: Marina Vitullo e Daniela Romano


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5 Novembre 2008

Politica climatica italiana: c’è tempo fino a dicembre per cambiare posizione

Categorie: 20-20-20, Dibattito, Ministero, Politiche, Protocollo di Kyoto  -  Postato da: 

La situazione economica mondiale non favorisce gli investimenti finalizzati alla riduzione delle emissioni di gas serra (GHG) ma la dichiarazione del Presidente della Commissione europea Barroso alle richieste rilasciate settimane fa da alcuni esponenti del Governo italiano non lascia dubbi: “Nessuna flessibilità per gli obiettivi di riduzione delle emissioni”.

Del resto non potrebbe essere altrimenti su un tema in cui da diversi anni l’Unione europea ha assunto una netta leadership, riuscendo anche per la sua fermezza a divenire un importante riferimento nel panorama internazionale.
Molteplici sono gli esempi in tal senso, a partire dal memorabile discorso di insediamento del Presidente francese Sarkozy che nel ribadire l’amicizia storica con gli alleati americani li richiamava con forza ad assumere un ruolo di guida e riferimento nella lotta ai cambiamenti climatici.
Non è stata da meno Angela Merkel che ha posto questo tema tra le priorità assolute del suo Governo e del semestre di presidenza europeo e che nello storico G8 di Heiligendamm è riuscita a modificare la posizione di G.W. Bush, facendogli riconoscere pubblicamente per la prima volta la principale responsabilità dell’uomo sul riscaldamento del pianeta. Germania che non era nuova a posizioni forti e responsabili sul clima, visto che aveva già rivendicato con forza la necessità di agire, indipendentemente dalle posizioni dei paesi che ancora non aderivano a Kyoto, attraverso il suo Ministro dell’Ambiente, Sigmar Gabriel, alla Conferenza di Nairobi del 2006.
Ancora più in là è arrivato Tony Blair in Gran Bretagna, con il bravissimo Ministro dell’Ambiente e già politico di rango David Milliband, con il suo impegno formale nel 2007 a tagliare le proprie emissioni del 60% entro il 2050. A lui si è aggiunto il fratello Ed, Segretario per le nuove energie e i cambiamenti climatici, incrementando tale impegno fino al 80% proprio negli scorsi giorni, quasi a dare una indiretta ma forte risposta al Governo italiano sulle perplessità di natura economica al taglio delle emissioni.

Nel frattempo è mutato radicalmente anche il panorama extraeuropeo, a partire dall’adesione dell’Australia al Protocollo di Kyoto nel dicembre dello scorso anno.
L’annunciata mossa politica del neo premier Kevin Rudd ha isolato ulteriormente gli USA al di fuori di Kyoto e portato l’Australia a fianco dell’Unione europea in termine di impegni concreti.
Non a caso Penny Wong, Ministro con delega ai cambiamenti climatici, ha dichiarato di ufficializzare entro la fine dell’anno i propri obiettivi di riduzione dei GHG, impegno che sembra raggiungerà il valore del 25%, in piena sintonia con i livelli europei.
Anche negli USA il vento è cambiato e considerata chiusa la Presidenza USA, contestata anche per le posizioni troppo influenzate dall’industria petrolifera su questi temi, si guarda già al nuovo Presidente.
Che sia Obama o McCain sembra essere poco rilevante sul fronte dei cambiamenti climatici, visto che entrambi hanno dichiarato di voler adottare una linea politica completamente diversa dalla precedente, allineandosi invece alle tante esperienze volontarie che si stanno espandendo a macchia d’olio tra i Sindaci ed i Governatori americani e che spesso riprendono quantitativamente gli impegni di riduzione che erano previsti per gli USA dal Protocollo di Kyoto .
È già pronta anche un progetto di legge, promesso già a fine 2006 dopo le elezioni di medio termine da un trio di Senatori capitanato da Barbara Boxer, che replica lo schema dell’Emission Trading già in essere in Europa.
Addirittura Cina ed India, che vengono spesso additati come scusante per giustificare l’inattività di qualche paese industrializzato, riconoscono con la Bali Road Map un proprio ruolo attivo e ricevono per questo i complimenti di Yvo de Boer, Segretario dell’UNFCCC.
Del resto molti sembrano dimenticare che entrambi hanno fin dall’inizio ratificato il Protocollo di Kyoto, documento che non prevedeva però per loro nella fase iniziale alcun obiettivo di riduzione delle emissioni.

Ciò era riconosciuto anche all’interno della Convenzione di Rio dell’ONU del ’92, vista la difficile posizione dei paesi in via di sviluppo di offrire ai propri abitanti delle migliori condizioni di vita. Il documento in questione, che ha ricevuto l’adesione e la ratifica dei Paesi di tutto il mondo, richiedeva a tutti i Paesi industrializzati di fare il primo passo nella riduzione delle proprie emissioni di GHG.
In un panorama internazionale così orientato a muoversi, pur con velocità diverse, in un’unica direzione stupisce le posizioni manifestate in questo periodo da parte di alcuni esponenti del Governo italiano, a volte accompagnate anche da un’informazione che, in modo anacronistico, cerca ancora di mettere in dubbio i cambiamenti climatici e le relative responsabilità del genere umano. Sarebbe forse più apprezzabile ed un segno di importante statura politica assumersi pubblicamente le responsabilità, anche a nome dei diversi Governi precedenti, per quanto non è stato fatto fino ad oggi e per il tempo che si è sprecato.
L’unica speranza che ci resta a questo punto è che il Governo Italiano  esprima un cambio di posizione, portando l’Italia a fianco dei principali Paesi del panorama europeo ed internazionale.

Il vertice di Poznan è vicino e gli occhi di tutto il mondo, compresi quelli del nuovo Presidente degli USA saranno puntati anche su di noi.

Testo di Daniele Pernigotti


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30 Ottobre 2008

Una tempesta solo italiana?

Categorie: 20-20-20, Costi, Emissioni, Fraindentimenti, Ministero, Mitigazione, Negoziazioni, Offese, Politiche, Protocollo di Kyoto, Riduzioni  -  Postato da: 

E’ passata la tempesta dello scontro Governo Italiano – Commissione europea sul tema dei costi del pacchetto 20-20-20. Se ne sono sentite delle belle, c’è materiale per una dozzina di nomination per il “Premio a qualcuno piace caldo 2008” (qualcuna è già arrivata e con calma in futuro appariranno nella pagina dedicata al Premio.

Cerchiamo di fare un po’ di ordine.

I vari documenti del pacchetto clima si trovano alla pagina “Climate Action” della Commissione europea:

L’analisi della Commissione europea “Model based Analysis of the 2008 EU Policy Package on Climate Change and Renewables“, alla base della suddivisione degli impegni fra gli stati, si trova dal febbraio 2008 qui, con tanto di allegati

I documenti prodotti dal Ministero dell’Ambiente del Territorio e del Mare sono disponibili qui e qui.

Una posizione intermedia è stata portata dagli Amici della Terra, che in un intervento disponibile qui, hanno rivolte dure accuse alla Commissione: “la ripartizione degli impegni del pacchetto energia è avvenuta in base a criteri non trasparenti, non discussi e diversi da quelli ambientali“.

Un po’ di chiarezza su quanto accaduto l’hanno fatto due pregevoli scritti di Marzio Galeotti, pubblicati sul Lavoce.info (Testo 1 e Testo 2).

Riassumendo: nei documenti prodotti dal Ministero ci sono alcune affermazioni non vere (la non disponibilità dei dati…), alcune scelte metodologiche molto discutibili (sommare i singoli costi di ognuno dei “20”, senza tener conto delle sinergie), e soprattutto non sono stati considerati i benefici delle politiche climatiche. Sarà arduo per il Ministero con quegli argomenti fare breccia a Bruxelles.

Si vedrà in futuro. Sembra che l’Italia presenterà venerdi’ 31 ottobre in una riunione con la Commissione un documento di 6 pagine con 18 domande, che per ora solo Libero Mercato ha potuto leggere.

Per ora sembra che i rilievi italiani non abbiano fatto molta impressione. Nelle conclusioni del Consiglio dei ministri dell’ambiente (conclusioni-del-consiglio-eu-del-20102008) che si è svolto in Lussemburgo il 20 ottobre non c’è traccia delle mozioni avanzate dall’Italia.

Anche la rivista Nature, che ha discusso le traversie europee sulle politiche climatiche, non ha neppure considerato i rilevi italiani; come ha notato Antonello Pasini, forse perché le considerazioni del Governo italiano sono state ritenute strumentali (“il solito Pierino che non ha fatto i compiti e cerca una scappatoia all’ultimo momento…“).

Un’ipotesi è che la tempesta sul 20-20-20 sia stata solo italiana, ad uso e consumo interno.

A margine dei dibattito sui costi, va segnalata la presenza nel dibattito di alcuni classici del negazionismo climatico, che non hanno mancato di ottenere titoli e spazio sulla stampa.


La riduzione delle emissioni dell’Italia è troppo piccola

Indicare come troppo piccole le riduzioni delle emissioni di gas serra dell’Italia (e dell’Europa !), sottintendendo che quindi non ne vale la pena: “l’incidenza di riduzione delle emissioni per il nostro paese sarà dello 0,3% e per tutta l’Ue del 2-3 per cento“, hanno dichiarato su vari giornali il Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo e il Presidente di Confindustria Emma Mercegaglia. Se ne trova traccia persino nel documenti del Ministero.

Con la stessa logica, ognuno potrebbe dire che non c’è motivo di pagare le tasse, visto che le proprie tasse sono certo molto meno dello 0.3 % del gettito fiscale italiano…


La riduzione delle emissioni dell’Italia è troppo impegnativa

Il Protocollo di Kyoto andrebbe riscritto (e perché non riscrivere il trattato di Yalta?): i costi del Protocollo di Kyoto o del pacchetto 20-20-20 sono troppo alti: non possiamo permetterceli.. Troppo alti rispetto a cosa?

Eppure ci siamo permessi altri costi, ad esempio “l’iniezione di liquidità” per le banche o per Alitalia. Ci possiamo permettere i costi del pacchetto 20-20-20, per poi raccoglierne i benefici; possiamo decidere di non farlo, ma è una delle scelte possibili.


Riduciamo solo se gli altri …

Sempre dal nostro Ministro per l’ambiente: prendiamo impegni solo se altri, Cina e India, prendono impegni analoghi (vedi).

Come convincere gli Indiani, che emettono pro-capite un quarto delle nostre emissioni di gas serra, a ridurre le emissioni?


Offese gratuite

L’offesa per gli argomenti altrui non manca. In questo si è segnalato il ministro Brunetta, che ha dichiarato che il pacchetto 20-20-20 è nientemeno che “una follia”

Gli argomenti a sostegno di questa tesi non ci sono; tranquillizza il fatto che il ministro, che si è vantato di essere un premio Nobel mancato sull’economia, ha all’attivo due pubblicazioni scientifiche nel catalogo dell’ ISI Web of Science (Vedi il Documento).

A proposito di Nobel mancati, per gli affezionati va segnalato l’intervento sul tema del Prof. Antonino Zichichi : “Di Kyoto si può fare a meno, del rigore scientifico no”.

Testo di Stefano Caserini, con contributi di Claudio Cassardo e Marina Vitullo


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20 Ottobre 2008

Di cosa si parla nell’attuale dibattito sul 20-20-20?

Categorie: 20-20-20, Costi, Dibattito, Emission trading, Emissioni, Giornali, Politiche, Protocollo di Kyoto  -  Postato da: 

La confusione fra la politica energetica e climatica al 2020 e il Protocollo di Kyoto

Infuria la polemica sui costi delle politiche dell’energia e del clima, sullo scontro fra Governo Italiano e Commissione Europea. È su tutti i giornali e telegiornali, anche come prima notizia; è dai tempi della presentazione del IV rapporto IPCC, febbraio 2007, che non accadeva.

Per ora la divisione sembra politica: per il centro-destra ha ragione il governo, per il centro-sinistra ha ragione la Commissione Europea, per il centro hanno ragione entrambi al 50 %.

I conti si possono fare più o meno bene, con metodologie più o meno raffinate, ma è inevitabile che essendo previsioni di costi futuri, si tratti di stime con margini di incertezza, con valori medi, minimi e massimi. D’altronde è sempre così: anche per i costi e i benefici del Ponte sullo Stretto di Messina o della TAV ci sono dati molto diversi, con range di incertezza anche maggiori.

Nell’attesa di mettere ordine e fare chiarezza cercando di capire chi sta sbagliando i conti, cosa che per ora non è facile visto che non sono disponibili molti documenti ufficiali sui numeri portati dal Governo (l’unica cosa che siamo riusciti a trovare è un documento linkato dal sito di Qualenergia, è il caso di chiarire i termini del problema.

 

Innanzitutto l’errore più frequente è non chiarire di che costi si stia parlando, perchè ci sono diverse possibilità:

1.i costi, per la partecipazione al sistema di Emission Trading Europeo link, nel periodo 2008-2012

2.i costi, per l’Italia, per rispettare gli obiettivi del protocollo di Kyoto nel periodo 2008-2012.

3.i costi, per le industrie più grandi, per la partecipazione al sistema di Emission Trading Europeo nel periodo 2012-2020 (obiettivo 2020 per l’EU: -21 % rispetto al 2005).

4.i costi, per l’Italia, della riduzione dei gas serra prevista dal pacchetto 20-20-20, ossia il primo 20 del pacchetto 20-20-20 (obiettivo 2020 per l’Italia: – 13 % rispetto al 2005)

5.i costi, per l’Italia, per la riduzione dei gas serra e l’aumento della produzione di energia rinnovabile, ossia i primi due 20 di tutto il pacchetto 20-20-20 (obiettivo 2020 sulle rinnovabili per l’Italia: +17% rispetto al 2005)

6.i costi di tutto il pacchetto 20-20-20, ossia compreso anche il costo per gli investimenti in efficienza energetica

Questi 6 tipi di costi possono essere calcolati all’anno o come valore cumulato nel rispettivo periodo (2008-2012 oppure 2005-2020, oppure anche 2012-2020): si hanno quindi 12 possibilità.

 

Ogni costo, per il sistema industriale o per l’Italia, ha ovviamente anche dei benefici, per il sistema industriale o per l’intera collettività. Sono benefici diretti (ad esempio: più energia da fonti rinnovabili = meno petrolio importato) e indiretti (= meno inquinamento dell’aria, più occupazione, minore spesa per la sanità, malattie favorite dall’inquinamento, ecc.). Si possono considerare nei benefici anche i “danni evitati” al sistema climatico del pianeta: si tratta di danni molto rilevanti, in parte difficili ancora da valutare per la complessità di alcuni fenomeni che portano ad impatti rilevanti (es. la fusione delle calotte glaciali che innalzano il livello del mare). Il punto più critico è che i danni al sistema climatico sono in gran parte spostati in avanti nel tempo: il sistema climatico ha una sua inerzia, la CO2 se ne sta per tanto tempo in atmosfera (una parte ci starà anche un millennio), quindi farà danni per tanti secoli, e non è semplice quantificare i danni nel futuro.

Oltre ai 12 costi lordi ci sono quindi anche 12 costi netti, ottenuti sottraendo ai costi lordi i benefici.

Costi e benefici potranno essere distribuiti in modo diverso fra il le casse pubbliche, il sistema industriale e la collettività.

Quindi può benissimo succedere che, mentre il pacchetto 20-20-20 può dare dei costi lordi rilevanti per un certo settore industriale, lo stesso pacchetto possa essere un affare per la collettività, perché porta a risparmi, nell’immediato o sul medio e lungo periodo.

Chi deve decidere?

La politica può e deve decidere di ripartire i costi e i benefici fra le tre parti; scaricando i costi sui cittadini (ad esempio facendo pagare più l’energia), o su altri settori produttivi o sulle casse pubbliche. Proprio come ha fatto nel caso di Alitalia o in quello delle banche.

Ad esempio, un settore industriale strategico e con alti livelli di occupazione potrebbe essere aiutato più di uno che si ritiene comunque senza futuro e con scarse ricadute occupazionali o territoriali.

Ed è una decisione eminentemente politica, non scientifica, decidere se alcuni costi sono “troppo” alti, oppure se sono necessari e sopportabili.

Vedendo titoli come “Alle famiglie costerebbe 60 euro l’anno” (La Stampa, pag. 3 del 19/10) oppure “la Ue uccide l’industria” (Corriere 15/10) oppure “La UE da sola non puo’ risolvere il problema“ (La Repubblica 17/10) oppure “così il governo italiano mette in discussione Kyoto” (Repubblica 17/10 ) oppure dichiarazioni come “chiederemo di rinegoziare Kyoto” (On. Matteoli, 19/10), sembra invece che la confusione regni sovrana.


Perché è evidente che non si sta parlando del Protocollo di Kyoto e neppure solo di clima

 



 

Testo di: Stefano Caserini

Revisione di: Claudio Cassardo

 


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10 Ottobre 2008

Voglia di superfreddo

Categorie: Esagerazioni, Giornali, Influenza del sole, IPCC, Proiezioni, Raffreddamento, Temperature  -  Postato da: 

«Se il Sole continuerà a restare senza macchie, sulla Terra potrebbe arrivare un freddo glaciale». Questa l’apertura di un articolo del Corriere della Sera del 7 ottobre.

Per quanto riguarda il ciclo delle macchie solari, esiste un insieme di misure, dirette e indirette, che ormai ci hanno fatta capire molto di come e quanto il nostro astro ci scalda e quante macchie solari ci sono. Fra le più autorevoli previsioni sul ciclo delle macchie solari disponibile on-line c’è quella del Marshall Space Flight Center: il prossimo massimo è atteso fra il 2011 e il 2012.

Sono previsioni, hanno i loro margini di errori, ma non si brancola nel buio.

Nello studio del clima si è capito anche, certo con ancora dei margini di incertezza, come la variazione della forza del sole ha influito sul clima del pianeta negli ultimi millenni e degli ultimi secoli.

Uno degli ultimi studi ben fatti, quello di Lockwood M., Frohlich C. (2007) ha concluso che

Tutti i parametri del Sole che possono avere un’influenza sul clima negli ultimi 20 anni sono andati in una direzione opposta a quella richiesta per spiegare l’aumento osservato delle temperature medie.

Se si va più indietro, si vede che la forzante solare ha con alta probabilità influito sulle temperature del famoso periodo caldo medioevale (PCM) e della piccola era glaciale (PEG). La ricostruzione delle temperature più accreditata per gli ultimi 2000 anni mostra che le differenze fra le temperature medie nell’emisfero nord fra il PCM e la PEG sono state di circa 0.5-0.6 °C, distribuite in diversi secoli.

Uno degli ultimi importanti studio usciti più recentemente non ha cambiato le cose.

Dunque,

1) la probabilità che il sole rimanga senza macchie solari per tanti anni, tanto da innestare un’era glaciale, è molto molto basso.

2) con le loro variazioni normali le macchie solari saranno un fattore del tutto secondario sul futuro andamento delle temperature

3) le irregolarità possibili in ogni andamento ciclico non potranno cambiare più di tanto l’aumento futuro delle temperature. Atteso nel 2100 secondo le previsioni dell’IPCC in un range fra 1.8 e 4°C.

Una variazione delle macchie solari tipo quella del XVII secolo non porterà alcuna piccola era glaciale, al limite, ridurrà leggermente un riscaldamento comunque molto pericoloso per l’uomo e gli ecosistemi.

Secondo lo stesso Prof. David Hathaway, citato nell’articolo, l’attuale andamento delle macchie solari “It wouldn’t cause cooling, it just might decrease the rate at which the Earth is heating”

Conclusione: il rischio di passare dal supercaldo al superfreddo a causa delle macchie solari o della loro assenza è praticamente nullo. Non ci sarà la piccola era glaciale. Dopo l’episodio del maggio 2008, in cui era girato l’allarme per un raffreddamento dei prossimi 10 anni (vedi nomination del titolista de La Repubblica), un’altra volta è stato un infondato allarme per un presunto imminente freddo futuro a fare notizia. È come se, all’inizio dell’inverno, ci fosse una gran voglia di suonare l’allarme per il freddo. E si che di notizie sulle preoccupazioni per il riscaldamento futuro ce ne sarebbero come chiaramente evidenziato da una moltitudine di lavori scientifici (si veda ad esempio: qui e qui).

Testo di: Stefano Caserini, Giulio De Leo


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18 Settembre 2008

L’inutile confutazione di un allarmismo inventato

Categorie: Abbagli, Catastrofismo, Esagerazioni, Negazionisti, Oceani, RealclimateITA  -  Postato da: 

Una tecnica ormai molto sfruttata nel dibattito climatico è piuttosto semplice: consiste nel confutare delle balle spaziali, attribuendole in modo generico agli “allarmisti”, evitando di discutere dei problemi veri.

Un bell’esempio è presente nell’articolo “La terra si scalda ? Una bufala. Lo dimostra il ghiaccio del Polo “.

L’intervistato, Elio Sindoni, confuta la tesi dell’imminente (5 anni !) arrivo del mare a Cortina.

Ma chi avrà mai detto o scritto che “in capo a 5 anni il mare arriverà a Cortina” ? La notizia è nuova e anche sul web non se ne trova traccia. È molto improbabile che una tesi del genere sia stata pubblicata su una qualsiasi rivista anche lontanamente tecnico-scientifica.

Il punto è che Cortina d’Ampezzo si trova a 1200 metri sul livello del mare. La fusione completa di tutti i ghiacci dell’Artico e dell’Antardide potrebbero alzare il livello del mare di circa 70 metri, da dove potrebbe arrivare l’acqua per gli altri 1130 metri ?

La tesi è quindi palesemente infondata, per confutarla non servono i risultati del progetto EPICA , basta la geografia, o forse solo il buon senso.

Come si diceva, l’inutile confutazione di un allarmismo inventato permette di evitare di discutere dei problemi veri, delle vere questioni che potrebbero costituire un allarme.

Non solo perché è una cosa molto seria il problema dell’innalzamento del livello del mare, come se ne parla in questa traduzione di RealClimate disponibile su Climalteranti.it.

Pur se i maestri di sci di Cortina non devono temere di dover insegnare immersioni fra cinque anni, delle previsioni della copertura nevosa a Cortina nei prossimi decenni, sì, forse di questo potrebbero un poco preoccuparsi….

Testo di: Stefano Caserini


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9 Giugno 2008

L’ennesima bufala sul raffreddamento globale

Categorie: Abbagli, Dibattito, Giornali, Modelli Climatici, Negazionisti, Raffreddamento, RealclimateUS, Titoli  -  Postato da: 

Ogni tanto si diffonde la voce di un presunto prossimo raffreddamento del pianeta.
L’ultimo caso è successo a maggio 2008, ha avuto grande enfasi anche in Italia.

È possibile citare un incredibile titolo di Repubblica del 3 maggio “Clima, il contrordine, nei prossimi 10 anni fa più freddo”, nonché nell’agitato articolo di Franco Battaglia su Il Giornale.

Ne hanno parlato radio e televisione, che hanno sintetizzato (male) il lancio dell’agenzia ANSA che parlava di “10 anni di tregua da riscaldamento globale

Come si può vedere anche leggendo la traduzione italiana di Realclimate le cose non stanno proprio così.

Oppure si può vedere la spiegazione “Riscaldamento globale: un’inversione di tendenza?” sul blog di Antonello Pasini.

Gli allarmi sul raffreddamento non sono nuovi; poche settimane prima l’ANSA aveva diramato un comunicato in cui era contenuta la chicca

Contrariamente ai timori sul riscaldamento globale, la temperatura terrestre e’ rimasta stabile o e’ leggermente diminuita nell’ultimo decennio, nonostante il continuo aumento di concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, e ora la temperatura globale sta rapidamente diminuendo…”

La cosa singolare è il credito dato a questo studio da quanti generalmente usano parole di fuoco per i modelli climatici.

Insomma, ai modelli si crede solo quando prevedono il raffreddamento…


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