Konrad Steffen, una vita per i ghiacci della Groenlandia
Il grande glaciologo svizzero, conosciuto soprattutto per le sue ricerche in Artico, ha di recente perso la vita cadendo in un crepaccio nei pressi dello Swiss Camp, la stazione da lui creata per monitorare i ghiacci polari. Climalteranti vuole qui ricordarlo come esempio di grande dedizione alla ricerca anche in condizioni estreme e come fonte di ispirazione per gli scienziati del clima.
L’8 agosto 2020 Konrad Steffen, uno dei più importanti e preparati studiosi dei ghiacci della Groenlandia, è caduto in un crepaccio vicino alla stazione di monitoraggio che aveva creato e gestito per trent’anni. Era l’ultima missione che avrebbe fatto allo Swiss Camp, condotta allo scopo di dismettere il campo, perché anche quella parte di piattaforma della Groenlandia stava cedendo. Già i crepacci avevano danneggiato la postazione ed in uno di questi crepacci è caduto il grande scienziato, pur molto esperto di sicurezza.
Una tragedia che fa riflettere, su come gli impatti del cambiamento climatico rendano più difficile anche la ricerca scientifica, in particolare per chi studia i ghiacci del pianeta, polari o continentali.
Quanto a lungo rimane la CO2 in atmosfera?
Per comprendere quanto la questione del surriscaldamento globale sia urgente e diversa da altri temi ambientali, è utile aver chiaro il comportamento della CO2 in atmosfera, ossia quanto a lungo questo gas rimane in aria una volta emesso dalle attività umane.
Mi è capitato di leggere vari articoli
in cui si dice che la permanenza della CO2 è di X mesi, di Y anni o anche di Z decenni, con valori diversi per X, Y e Z. I valori sono così diversi perché sono tutti sbagliati, in quanto non esiste un unico valore di permanenza alla CO2in atmosfera. Per spiegarlo occorre una piccola premessa.
Per descrivere la durata di una sostanza (o anche di un isotopo radioattivo) nell’atmosfera, di solito si utilizza un parametro detto “tempo di vita medio” (mean lifetime) o a volte il “tempo di semivita”, che rappresentano rispettivamente il tempo dopo il quale è ancora presente in atmosfera il 37% e il 50% della quantità iniziale. Generalmente le sostanze hanno uno specifico processo di rimozione, e la dinamica di decadimento è di tipo esponenziale (o del primo ordine), per cui il tempo di vita medio e il tempo di semivita possono essere stimati a partire dalla costante che descrive il decadimento esponenziale (tempo di vita medio e di semivita sono rispettivamente l’inverso della costante di decadimento e l’inverso moltiplicato per il logaritmo di 2, una buona spiegazione è disponibile anche su wikipedia). (altro…)
Il cambiamento climatico: un autogol evolutivo per Homo sapiens?
Sin dagli albori della sua storia evolutiva Homo sapiens ha fatto della modifica dell’ambiente l’arma del suo indiscusso successo. Oggi quell'arma gli si sta rovinosamente rivoltando contro e il cambiamento climatico ne è la prova più evidente e drammatica. Un recente studio analizza le radici evolutive della trappola ecologica che l'uomo si è creato e le ragioni per cui fatica ancora oggi a coglierne l'urgenza, tracciando infine alcune soluzioni per disinnescarla.
Nel comunicare i rischi legati al
cambiamento climatico e il nostro rapporto con la biosfera, troppo spesso emerge una narrativa a senso unico. Da una parte c’è un pianeta da salvare – è là fuori, altro da noi, apparentemente con interessi in conflitto con i nostri; dall’altra, la specie invasiva responsabile del danno e su cui incombe la scelta di un ultimo atto “eroico”.
Un’immagine che tradisce tutta la presunzione di Homo sapiens, e ignora un’asimmetria fondamentale: siamo noi ad aver bisogno di biodiversità ed ecosistemi in buona salute, in grado di garantirci servizi gratuiti e fondamentali (disponibilità di acqua, terreni fertili, mari produttivi, impollinazione delle piante) e di mantenere stabile la nicchia climatica che ci ha permesso di prosperare per migliaia di anni. Il pianeta, in fondo, ha fatto a meno di noi per gran parte della sua storia e troverebbe ugualmente il suo corso anche se la scimmia nuda desse definitivamente forfait. (altro…)
Raggi cosmici oscillazioni zonali come fosse antani
Nell’intervento in un TedX a Bologna, Teodoro Georgadis ha affermato che nei prossimi 30-35 anni le temperature potrebbero diminuire a causa della variazione dell’intensità dei raggi cosmici che raggiungono la terra. La tesi è priva da tempo di credibilità scientifica, ma è l’unico appiglio per un discorso confuso e retorico, il cui scopo sembra quello di propagandare la presenza di diverse teorie sull’attribuzione del riscaldamento globale in corso.
“Riscaldamento Globale di Natura Antropica?”, questo il titolo dell’intervento di Teodoro Georgiadis, Primo Ricercatore all’Istituto di Bioeconomia del CNR di Bologna, al TEDxBologna del novembre 2019.

Non sorprende il punto di domanda nel titolo, che mette in discussione la responsabilità delle attività umane sul riscaldamento globale. Georgiadis già in passato aveva proposto dubbi su aspetti importanti della scienza del clima, sostenendo l’esistenza di presunti errori nell’elaborazione dei dati delle temperature globali, grazie ai quali il riscaldamento globale potrebbe non esserci stato, o addirittura sull’inaffidabilità della “rete climatica globale”, o rivolgendo critiche generiche alla modellistica climatica.
Siamo quindi andati a vedere le argomentazioni di tipo scientifico proposte in questo intervento.
“Maggior parte” o “quasi totalità”?
All’inizio si trovano diverse affermazioni un po’ generiche sulla scienza del clima, ad esempio “si è sviluppata una disciplina che non è la scienza del clima ma è la scienza del cambiamento climatico…", "...qualcuno dice che è una religione...", "è una scienza se ha delle parametrizzazioni, delle formule”. (altro…)
Un piano fuori dal tempo
Pubblichiamo un’analisi del documento “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022” per quanto riguarda il tema dell’azione sul clima. In sintesi: un documento deludente che, al di là di qualche giusta misura, assegna un ruolo marginale al tema del cambiamento climatico, disperso in un insieme di tante proposte in cui non si affronta il punto cruciale di come conciliare le molte iniziative infrastrutturali con il nuovo contesto dell’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050.
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Negli scorsi giorni è stato presentato
al Presidente del Consiglio del Ministri e agli Stati Generali, e in seguito molto discusso, il documento “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022”, redatto da un comitato di esperti in materia economica e sociale guidati dal manager Vittorio Colao. Il documento è composto da un rapporto di circa 50 pagine e da un elenco di 102 schede in 117 pagine, e contiene raccomandazioni relative a iniziative atte a facilitare e a rafforzare la fase di rilancio post epidemia Covid-19.
Come scritto nella Premessa, il rapporto ha effettuato una “selezione dei temi da trattare. Sono stati conseguentemente esclusi dalle riflessioni del Comitato interventi che riguardano aree già presidiate da altri comitati, quale ad esempio la Scuola, nonché riforme che richiedono tempi significativi di elaborazione e un alto grado di competenze specialistiche”. L’obiettivo dell’insieme delle iniziative proposte dal Comitato è quello di “accelerare lo sviluppo del Paese e di migliorare la sua sostenibilità economica, sociale e ambientale, in linea con l’Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e con gli obiettivi strategici definiti dall’Unione europea”. Agganciata a questo riferimento agli obiettivi strategici dell’Unione Europea c’è la comunicazione della Commissione “Il momento dell'Europa: riparare i danni e preparare il futuro per la prossima generazione”. (altro…)
Il futuro visto dal passato: Guy Callendar e il riscaldamento globale
È il 1938, la concentrazione di CO2 in atmosfera è di circa 310 ppm e il mondo è molto prossimo all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, quando Guy Stewart Callendar, ingegnere e inventore inglese, esperto di propulsione a vapore e tecnologo del vapore per la British Electrical and Allied Industries Research Association, pubblica “The artificial production of carbon dioxide and its influence on temperature” (La produzione artificiale di biossido di carbonio e i suoi effetti sulla temperatura), sul Quarterly Journal of the Royal Meteorological Society [1]. Climalteranti si è occupata del 75° anniversario del lavoro di Callendar qui.
L’articolo di Callendar risulterà fondamentale per un fatto semplice, ma rivoluzionario: fu il primo lavoro a descrivere un incremento di temperatura al suolo nei 50 anni precedenti e a collegarlo all’incremento di biossido di carbonio in atmosfera da uso di combustibili fossili. Il lavoro includeva anche interessanti proiezioni nel futuro (incluso il nostro presente) dell’andamento della concentrazione di biossido di carbonio in atmosfera e del conseguente incremento nelle temperature superficiali.
Ma a che punto era la consapevolezza del riscaldamento globale, nel 1938? All’inizio del Novecento le caratteristiche radiative dei gas scaldati dalla luce solare e il legame fisico tra incremento del biossido di carbonio in atmosfera e incremento di temperature superficiali erano già stati scoperti e ampiamente documentati, ma la portata, l’intensità e le implicazioni di tali scoperte non erano ancora state del tutto comprese e accettate dalla comunità scientifica.
Attribuire singoli eventi estremi al cambiamento climatico: complesso ma possibile
Gli eventi climatici estremi
(precipitazioni molto intense, ondate di calore, siccità prolungate, ecc.) sono uno degli aspetti della scienza del clima che ottiene maggior risalto negli organi di informazione, in parte per i loro impatti immediati ed evidenti ed in parte perché solitamente circoscritti nello spazio e nel tempo, e quindi adatti al formato di un articolo o servizio che si focalizzi su di un singolo fatto di cronaca.
Da un punto di vista scientifico, lo studio degli estremi climatici è un campo estremamente attivo, e si potrebbero scrivere libri sul tema – cosa che infatti è stata ripetutamente fatta. Gran parte di questo lavoro rimane “nascosto” agli occhi dei non addetti ai lavori, poiché pubblicato in riviste di settore ed in termini molto tecnici. Un aspetto che però spesso traspare anche negli articoli di informazione è quello dell’attribuzione degli estremi al cambiamento climatico. La questione è spesso formulata nei seguenti termini: “possiamo ascrivere l’evento estremo recentemente avvenuto al cambiamento climatico?”.
Il tema è indubbiamente complesso.
Attribuire cambiamenti lenti, sistematici ed a grande scala, quali il riscaldamento globale, ad una causa precisa è relativamente facile. Per esempio, possiamo affermare che la probabilità (più precisamente la likelihood, o verosimiglianza(*)) che il riscaldamento globale sia principalmente dovuto alle attività umane è superiore al 95%.
Attribuire cambiamenti nella frequenza o caratteristiche di una data categoria di eventi estremi, è anche questo fattibile, seppur non sempre semplice, e può essere motivato su basi statistiche, fisiche e mediante l’uso di modelli numerici. Per esempio, possiamo attribuire al cambiamento climatico una maggiore frequenza di ondate di calore particolarmente estreme (tema toccato in passato da Climalteranti qui). L’attribuzione di variazioni negli estremi di precipitazione è più complessa, ma in ogni caso fattibile (e.g. vedere qui per uno dei primi studi a riguardo). (altro…)
Perché la scienza merita la nostra fiducia
Pubblichiamo una recensione di Why Trust Science?, l’ultimo libro di Naomi Oreskes, già autrice di “Mercanti di dubbi”

Perché dovremmo fidarci della scienza? No, non è una domanda trabocchetto. Oggi come non mai questa domanda ricorre ovunque: dai mass media ai social, dalle chiacchiere in famiglia al dibattito politico. Specialmente riguardo a questioni come i cambiamenti climatici, i vaccini, e la più che mai attuale risposta all’emergenza coronavirus, lo scetticismo nei confronti dei risultati e metodi della ricerca scientifica sembra a molti non solo legittimo, ma sacrosanto.
Nel suo ultimo libro, tratto da una serie di lezioni tenute all’Università di Princeton nel 2016, Naomi Oreskes spiega perché questo presunto dovere di diffidenza verso la scienza sia fondamentalmente sbagliato.
Why Trust Science? È un libro accessibile a un pubblico che va ben oltre i filosofi della scienza e in generale gli accademici con una profonda conoscenza dei casi citati. A prescindere dai singoli esempi, passati e presenti, usati da Oreskes, il messaggio è unitario e diretto: la scienza merita la fiducia dell’intera società perché è essa stessa un prodotto della società, con regole e metodi di controllo aperti e trasparenti.
Fare scienza non vuol dire, secondo Oreskes, essere obiettivi, neutrali, al di sopra delle opinioni, scevri da valori ed interessi personali. Il tipo di conoscenza che la scienza produce non è inconfutabile, non è eterna, e non è garantita in virtù del fatto che risulta dall’applicazione di un unico ed infallibile ‘metodo scientifico’. (altro…)
La pericolosa ricerca di purezza e perfezione
È ormai chiaro che sia arrivato il momento di darsi da fare per ridurre le emissioni di gas serra, in modo sostanziale, con l’obiettivo di avvicinarsi al loro azzeramento nell’arco di tre decenni o poco più (e poi anche rimuovere CO2 dall’atmosfera, perché abbiamo perso tempo e quando saremo arrivati vicini allo zero, ci sarà comunque ancora troppa CO2 in atmosfera). Di questo si occupa una parte della scienza del cambiamento climatico, denominata “mitigazione”. Lo scopo di questa area di ricerca è di definire le migliori strategie per ridurre le emissioni e potenziare gli assorbimenti, studiando le diverse opzioni già disponibili e quelle che potrebbero esserlo, valutando per ogni opzione l’efficacia, il potenziale in diversi orizzonti temporali, i costi o benefici economici attuali e previsti per il futuro, gli investimenti necessari, i punti critici e i co-benefici (ambientali, sociali, ecc.), gli ostacoli di tipo normativo, politico, psicologico, le connessioni con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, le possibilità di rimuovere questi ostacoli, discutendo il mix preferibile delle diverse opzioni in diversi contesti. (altro…) Emergenza Coronavirus: un’occasione epocale per far cambiare direzione alle emissioni globali di gas climalteranti
L’annuncio del rinvio della COP26 da parte della Presidenza UK, inevitabile data l’emergenza Coronavirus in corso, ha destato la preoccupazione che il riscaldamento globale venga considerato un problema che in questo momento l’umanità non si può permettere di affrontare. Pur se il 2020 avrebbe dovuto essere un anno cruciale per il negoziato globale sul clima, in quanto erano attesi i rilanci degli impegni nazionali (NDC) previsti dall’Accordo di Parigi, il rinvio potrebbe avere anche un risvolto positivo in funzione dell’esito delle elezioni negli USA: Donald Trump ha avviato la procedura di rescissione dall’Accordo di Parigi, che sarà operativa a partire dal 4 novembre 2020, e una sua eventuale uscita di scena potrebbe dare un nuovo impulso al negoziato. Inoltre, il negoziato intermedio dell’UNFCCC (con le riunioni degli organi sussidiari SBs), che si sarebbe dovuto tenere a giugno a Bonn, è stato rinviato non al 2021 ma al prossimo ottobre. Quindi rimandare la COP26 al 2021 potrà servire a fare chiarezza su ruoli e posizioni delle diverse parti.
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Come comunicare la crisi climatica ai disimpegnati
100% di elettricità rinnovabile è possibile
Il manuale di psicologia climatica: una guida per affrontare l’impatto psicologico della crisi climatica ed ecologica
Scenari climatici tra decarbonizzazione spinta e punti di non ritorno
Il clamoroso e preoccupante record delle temperature medie globali nel 2024
L’auto termica green di Francesco Giavazzi non esiste
Il fuoco amico, una forma di inattivismo climatico: 2/ l’opposizione alle auto elettriche
Finanziamenti e meccanismi di supporto all’azione climatica: alcuni risultati della COP29
Cerchiamo di metterci in tempo le mani