CDRforesteInventario emissionimodelli

Le strategie per la rimozione della CO2: le foreste

Come spiegato nel precedente post, il recente rapporto coordinato dall’Università di Oxford stima che la gran parte dell’attuale rimozione antropogenica di CO2 dall’atmosfera (carbon dioxide removal, CDR) – circa 2 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2 all’anno – avviene nell’ambito delle CDR “convenzionali”, soprattutto grazie alle foreste gestite. Di altre CDR convenzionali, incluse quelle che mirano ad aumentare il tenore di carbonio nei suoli agricoli, e delle CDR ”innovative”, parleremo in successivi post. Le foreste, in realtà, assorbono molto più di 2 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Complessivamente, gli ecosistemi terrestri (fatti soprattutto da foreste, più un piccolo contributo di aree umide e praterie-pascoli) assorbono oltre 11 Gt CO2 all’anno, pari al 29% di tutte le emissioni di CO2 antropogenica, inclusi i combustibili fossili e la deforestazione (fonte: dati Global carbon budget 2022 – qui le slide). (altro…)
Accordo di ParigiCDRMitigazione

Rimozione della CO2 dall’atmosfera, dove siamo e dove stiamo andando?

Iniziamo con questo testo una serie di post su uno dei temi di grande interesse e di frontiera nella lotta al cambiamento climatico; un tema di cui ancora poco si conosce in Italia, nonostante una produzione scientifica rilevante e cresciuta in modo esponenziale negli ultimi anni.   Nelle scorse settimane varie testate e siti web (tra cui Bbc, Economist, Nature e Carbon Brief) hanno riportato i risultati di un rapporto coordinato dall’Università di Oxford, intitolato “State of Carbon Dioxide Removal (CDR)” e dedicato alle strategie di rimozione di CO2 dall'atmosfera. La CDR consiste nel catturare la CO2 dall'atmosfera e stoccarla in modo duraturo sul/nel suolo, nell'oceano, in formazioni geologiche o in prodotti. Il rapporto fornisce una definizione precisa di cosa sia e cosa non sia CDR, ad esempio distinguendo la CDR da altre tecniche che catturano e stoccano CO2, ma prendendola dai fumi di combustione dei combustibili fossili (CCS), e precisa l’importanza che la cattura sia seguita da uno stoccaggio duraturo. Basandosi anche su altri rapporti e rassegne già pubblicate in letteratura (ad esempio dal Sesto Rapporto IPCC – terzo gruppo di lavoro, o dalle National Academies of Sciences, Engineering & Medicine USA), nonché su più di duecento fra le migliaia di pubblicazioni ormai uscite sul tema (di particolare importanza questa review in tre parti pubblicata su Environmental Research Letters nel 2018 di Minx et al e Fuss et al, Nemet et al), il rapporto fornisce una panoramica chiara, autorevole e aggiornata sul tema CDR, utile per coloro che vogliono capire quale ruolo potrà giocare per il raggiungimento degli obiettivi climatici. Il rapporto dell’Università di Oxford è (altro…)
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Quando il negazionista climatico sbaglia i conti sull’effetto serra

Come sanno i lettori di Climalteranti, Franco Battaglia è uno dei negazionisti climatici italiani più ostinati e prolifici. Raggiunta la pensione, dopo una  produzione scientifica inesistente per quanto riguarda i temi del clima e dell’ambiente, ora scrive per La Verità e il blog del giornalista Nicola Porro. Per lo più intervista altri negazionisti climatici nazionali e internazionali, ripete le stesse tesi infondate sul clima, quasi sempre ridotte a discorsi da bar. Da tempo Climalteranti ha deciso di ignorare questo chiacchiericcio, che si rivolge solo a qualche migliaio di adepti, alcuni dei quali commentano entusiasti sul blog o sui social. Nel testo pubblicato su blog di Porro il 12 gennaio 2023 “Effetto serra, tutti gli errori dell’Ipcc”, Battaglia ha invece scelto un approccio all’apparenza più scientifico, avventurandosi in una spiegazione di fenomeni fisici, usando 8 equazioni. Per chi si occupa di clima e fisica dell’atmosfera, l’articolo a dir poco si può definire imbarazzante. La tesi sarebbe che tutti i climatologi del mondo non conoscono la fisica di base del funzionamento del sistema climatico, e commettono errori da pivelli. In estrema sintesi, Battaglia cerca di calcolare la sensibilità climatica dovuta alla CO2, cioè di quanto si innalzerebbe la temperatura dell’atmosfera se la CO2 presente nell’aria raddoppiasse. Per farlo utilizza un modello estremamente semplificato del sistema Terra, composto da una sola equazione (utilizzata in modo errato), da cui ricava che la sensibilità climatica sarebbe di soli 0,7 gradi, molto lontano da 3°C e 2,5-4°C indicati rispettivamente come miglior stima e intervallo probabile dall’IPCC AR6 WGI. Quindi analizza la possibilità che questa discrepanza sia dovuta ad una variazione dell’albedo (la frazione di luce riflessa dalla Terra), e giustamente lo esclude. Infine, esamina la spiegazione fornita dai climatologi, cioè che esistono dei fenomeni (feedback positivi) che amplificano il riscaldamento, di qualsiasi natura sia, (altro…)
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Estremi freddi in un clima caldo

Come mai continuiamo ad osservare estremi freddi in un mondo sempre più caldo? Nonostante siano state avanzate teorie scientifiche sul perchè il riscaldamento globale potrebbe favorire estremi freddi alle medie latitudini, i dati climatici ci dicono che gli estremi freddi sono in diminuzione a livello globale. Alla luce delle attuali conoscenze in campo climatologico, dobbiamo dunque considerare i recenti estremi freddi, quali la tempesta invernale del Natale 2022 in Nord America, come episodi eccezionali in un clima in rapido riscaldamento.

 

Viviamo in un clima in rapido riscaldamento, oramai in media ben oltre un grado più caldo che nel periodo preindustriale a livello globale, e spesso svariati gradi più caldo a livello regionale, in particolar modo nella regione Artica. Sappiamo che questo riscaldamento sta portando ad ondate di calore sempre più intense, frequenti e prolungate, non ultima l’estate 2022 che è stata la più calda mai registrata in Europa. Al contempo continuiamo però ad osservare ondate di freddo particolarmente intense, l’esempio più recente essendo la tempesta invernale che ha portato temperature rigide e forti rovesci nevosi su gran parte del Nord America durante il periodo Natalizio del 2022. Tali episodi freddi sono nel passato stati strumentalizzati da negazionisti del cambiamento climatico, alla disperata ricerca di qualunque appiglio per negare l’evidenza, come discusso in questo post. La domanda di base rimane ciononostante legittima: come mai continuiamo ad osservare periodi estremamente freddi a fronte di un clima in rapido riscaldamento?

Fonte: Chris Light/Christopher Michel

Un primo aspetto importante da chiarire è che gli estremi freddi stanno diminuendo rapidamente a livello globale. Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, “è virtualmente certo che (altro…)

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Il 2022: anno di caldo record in Italia, e il quarto – sesto più caldo nel mondo

Le temperature medie globali dell'anno appena terminato, secondo quanto risulta dalle analisi preliminari sui dati della NOAA/NCEP e di altri database climatici, collocano il 2022 al quarto-sesto posto nella speciale classifica degli anni più caldi, in cui il 2016 rimane saldamente primo. L'anomalia registrata si assesta intorno ai tre decimi di grado al di sopra della media del trentennio 1991-2020, pari circa a 1,2 °C in più rispetto al periodo preindustriale. Considerando che ci troviamo ancora nella fase La Niña del ciclo ENSO, notoriamente associata ad anomalie fresche nella temperatura media globale, questi valori sono di assoluto rilievo. Per quanto riguarda l'Italia, invece, l'anomalia registrata è stata spaventosa, raggiungendo il valore record della serie, pari a circa 1,3 °C rispetto al 1991-2020, o se vogliamo 2,2 °C rispetto al periodo preindustriale.

Capodanno è appena trascorso e, mantenendo la nostra tradizione, eccoci pronti a guardare a caldo come si è comportato l’anno appena concluso, almeno dal punto di vista termico, a scala mondiale e nazionale. Come di consueto, il riferimento è costituito dalle anomalie di temperatura estratte dal database NOAA/NCEP della NOAA, considerando sia tutto il globo terrestre che un rettangolo che comprende l'Italia. Ricordo anche che questo database fornisce i dati su punti griglia, con un grigliato di 2,5 gradi in longitudine e latitudine, valori che, alle nostre latitudini, grossolanamente corrispondono a un quadrato di lato 250 km. Questo database è prescelto in quanto i dati, grezzi, vengono resi disponibili in tempo quasi reale. Però farò comunque un confronto anche con i valori di alcuni database famosi (GISS, HadCRU, ERA5), anche se incompleti, considerando gli ultimi dodici mesi disponibili, in maniera da avere una visione non condizionata dal singolo database. Infine, ho deciso di usare un doppio riferimento per le anomalie: il trentennio più recente 1991-2020, che è ormai il riferimento di tanti studi del clima, e il periodo antecedente il 1900, in modo da valutare il riscaldamento rispetto a quello che normalmente è considerato il periodo preindustriale. In realtà la rivoluzione industriale è iniziata molto tempo prima rispetto al 1900, ma i suoi effetti in termini di emissioni antropogeniche di gas serra hanno iniziato a farsi sentire in modo considerevole solo nel ventesimo secolo.

La tabella 1 riassume i principali risultati a scala mondiale.

Tabella 1 – Anomalie di temperatura media globale nel 2022 secondo NOAA/NCEP e altri tre centri climatici. I valori sono espressi in °C. Le prime quattro colonne sono riferite al trentennio climatico più recente 1991-2020, le altre quattro al periodo preindustriale (anni prima del 1901), ovvero: per HadCRU, il periodo 1880-1900; per GISS, il periodo 1850-1900). Per i database NOAA/NCEP e ERA5, che non si estendono così tanto a ritroso nel tempo, l’anomalia preindustriale è stata ricalcolata usando la differenza climatica dei dati GISS. Infine, il valore del 2022 per HadCRU è stato calcolato sul periodo novembre 2021–ottobre 2022, e per GISS ed ERA5 sul periodo dicembre 2021–novembre 2022.

Anche nel caso del 2022, (altro…)

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Il piccolo avanzamento alla COP27 e il futuro delle COP

A mente fredda e dopo aver valutato i risultati, un’analisi della COP27 e sull’importanza del negoziato UNFCCC.

L’analisi dei risultati della COP27 che si è svolta a Sharm el Sheikh dal 6 al 20 novembre 2022 è al solito complessa e laboriosa. Le lunghe e dettagliate analisi dell’IISD, di Carbon Brief, i resoconti giornalieri dei delegati dell’Italian Climate Network e della newsletter Areale di  Ferdinando Cotugno hanno mostrato quanto lavoro c’è stato su molti tasselli dell’intelaiatura del negoziato mondiale sul clima.

Il risultato finale sono 27 decisioni di COP27 (la Conferenza delle Parti dell’UNFCCC), 9 decisioni del CMP17 (il meeting delle Parti del Protocollo di Kyoto) e 24 decisioni del CMA4 (il meeting delle Parti dell’Accordo di Parigi).

I risultati

La decisione più importante, e che ha trovato risalto nei media, è l’accordo per l’istituzione di un fondo per il “Loss and damage”. La questione di fondo è "chi paga per i danni causati dal cambiamento climatico?": è una questione vecchia, che sta causando crescenti tensioni tra (altro…)

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Una finestra che si sta chiudendo

A fine ottobre è stato presentato l’Emissions gap report dell’UNEP, il Programma Ambientale delle Nazioni Unite. Quali sono i principali elementi di questo rapporto e a che punto siamo nell’Unione Europea e in Italia?

Il rapporto valuta l’efficacia delle azioni intraprese finora, a livello globale, nel ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. Il messaggio principale è riassunto bene nell’immagine di copertina: una finestra che si sta chiudendo - simbolo del poco tempo rimasto a disposizione - raggiungibile con una scala traballante, per indicare la difficoltà della sfida.

Perché la finestra si sta chiudendo?

Partiamo dall’inizio. Nel 2015 a Parigi, praticamente tutti i paesi del mondo si sono impegnati a ridurre le emissioni di origine antropica in modo tale da mantenere l’aumento della temperatura globale a fine secolo ben al di sotto dei 2oC rispetto all’epoca preindustriale, cercando anzi di non superare 1.5oC. Per raggiungere questo obiettivo possiamo riconoscere i seguenti tipi di impegni da parte dei paesi:

  1. Impegni di lungo termine, intorno al 2050 o 2060. Si tratta di impegni a volte generici, ma importanti per indicare la direzione.
  2. Impegni di medio termine, intorno al 2030 (i cosiddetti Nationally Determined Contributions, o NDC), che ogni paese deve periodicamente comunicare alle Nazioni Unite; per questi impegni esistono protocolli di rendicontazione periodica, per valutare in modo trasparente il raggiungimento o meno degli obiettivi e l’implementazione di adeguate politiche nazionali.
  3. Attuazione di politiche nazionali di riduzione delle emissioni o di modifica del sistema energetico, e rendicontazione delle emissioni alle Nazioni Unite.

Il rapporto UNEP ci dice a che punto siamo in questo processo. In altre parole, qual è la distanza tra parole e azioni.

Come siamo messi a livello globale? (altro…)

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Perché conviene prendere in considerazione gli scenari catastrofici sul clima

È stato pubblicato su Ingegneria dell’Ambiente Finale di partita sul clima: esplorare gli scenari catastrofici dei cambiamenti climatici” traduzione in italiano dell’articolo “Climate endgame: exploring catastrophic climate change scenarios” pubblicato recentemente su PNAS da Luke Kemp, Timothy Lenton e altri 9 autori.

L’articolo ha una grande importanza per il dibattito sul cambiamento climatico, per diverse ragioni.

Innanzitutto, perché mostra in modo chiaro come fino ad oggi la ricerca scientifica sul clima non si sia occupata abbastanza degli scenari peggiori, che potrebbero portare ad un collasso della società su scala globale o un’eventuale estinzione dell’umanità. Il negazionismo e l’inattivismo climatico ha cercato in tutti i modi di descrivere gli scienziati del clima come pessimisti, catastrofisti, desiderosi di spaventare. Invece, gli scienziati sono stati poco allarmisti, anche perché strutturalmente un processo come quello dell’IPCC, basato sul consenso, tende a favorire la cautela nelle proiezioni. Questo articolo mostra come ci sia ancora tanto da studiare su come i rischi portati dai cambiamenti climatici possano diffondersi, amplificarsi e venire aggravati dall’interazione con altri rischi e fattori di stress a cui sono sottoposti gli ecosistemi e le società umane.

Secondo gli autori, ci sono buoni motivi per sospettare che i cambiamenti climatici possano provocare una catastrofe globale, e questi buoni motivi sono analizzati nel dettaglio, in modo spietato verrebbe da dire, a partire da quattro domande:

1) che possibilità hanno i cambiamenti climatici di innescare eventi di estinzione di massa?
2) quali sono i meccanismi che possono causare nell’umanità morbidità (malattie) e mortalità di massa?
3) quali sono i punti deboli delle società umane rispetto ai rischi a cascata innescati dai cambiamenti climatici, come quelli derivanti da conflitti, instabilità politica e rischi finanziari sistemici?
4) come sintetizzare utilmente queste molteplici evidenze - insieme ad altri pericoli globali - in una “valutazione integrata della catastrofe”?

Combinando i risultati delle proiezioni climatiche con i dati demografici, gli autori spiegano (altro…)

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Fatti o valori: cosa conta nella percezione del rischio climatico? (II parte)

Dal clima all’economia e alla politica

Numerosi studiosi hanno proposto diverse interpretazioni della difficoltà degli esseri umani ad agire contro il cambiamento climatico, fornendo diverse visioni del peso della razionalità, della cultura, dei fatti e dai valori. Lo studio dei comportamenti in campo economico e politico permette di chiarire meglio questi meccanismi.

Dobbiamo a Daniel Kahneman e Amos Tversky la dimostrazione  di come le decisioni dell’homo oeconomicus violino sistematicamente alcuni principi di razionalità e siano guidate da un serie di bias cognitivi, ossia una sorta di scorciatoie dei processi di valutazione che rendono più veloci, quanto erronee, le decisioni (D.Kahneman, Pensieri lenti, pensieri veloci, Milano 2012). Grazie a questi lavori, Kahneman nel 2002 è stato insignito del Premio Nobel per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza”.

L’assunto che nelle scelte economiche i soggetti operino secondo il principio della massimizzazione dell'utilità è rimasta come ipotesi di studio, ma non ha retto alla prova dei fatti e degli studi degli economisti comportamentali. L’avversione alla perdita, la sovra-confidenza, l’effetto pigmalione sono solo alcune delle scorciatoie che ci inducono a sistematici errori di valutazione relativamente al rischio di perdita, piuttosto che di guadagno, nelle scelte economiche e finanziarie. Tra questi “pensieri veloci”, uno è particolarmente calzante nel merito della valutazione del rischio climatico: quello che Kahneman chiama “euristica dell’affetto”. Si tratta di situazioni in cui le persone giudicano e decidono consultando le proprie emozioni, del tipo: “questa cosa mi piace o non mi piace affatto?”.  In questo modo, la risposta a un quesito facile (“che impressione mi dà?”) funge da risposta per il corrispettivo quesito molto più difficile: “cosa ne penso? “. Va da sé che, se l'impressione è negativa, “il cambiamento climatico non mi piace” e, pertanto,  la disponibilità ad agire ne risulta (altro…)

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Fatti o valori: cosa conta nella percezione del rischio climatico? (I parte)

Nell’estate del crollo dei ghiacci della Marmolada, della grande siccità, degli incendi e dell'appello della comunità scientifica italiana perché la politica si prenda carico del cambiamento climatico, rimane la sensazione di una sproporzione tra l’enormità della questione e la relativa scarsa reattività del corpo sociale e politico. La distanza, insomma, tra comunicazione e partecipazione, conoscenza e mobilitazione. Quasi che non bastassero gli enormi interessi in gioco per spiegare l’in-azione climatica, l’inerzia politica.

Natura o cultura, psicologia o istituzioni?

Alcuni anni fa Dan Gilbert, affermato professore di psicologia ad Harvard e columnist del LA Times, sostenne che la mente umana era poco attrezzata per rispondere alla minaccia del riscaldamento globale. Secondo Gilbert il cervello si è evoluto per rispondere a minacce che hanno quattro caratteristiche che il global warming non presenta.

In primo luogo il riscaldamento globale “non ha i baffi”. Non è cioè associato a un’azione intenzionale di una o più persone e il nostro cervello è specializzato nel pensare e decifrare minacce “personalizzabili”.

Il secondo motivo è che il global warming non viola la nostra sensibilità morale, almeno non direttamente. Non ci induce pensieri ripugnanti, inaccettabili, indecenti e le emozioni morali sono un forte allarme per il cervello.

Il terzo motivo è che se vediamo una minaccia nel global warming la vediamo “per il futuro, non per il pomeriggio”. Il global warming mancherebbe quindi di immanenza.

Infine il global warming è troppo lento per essere avvertito come una minaccia che spinge all’azione. Secondo Gilbert, e altri studiosi, “l’inazione climatica”, troverebbe radici nella stessa natura dei processi cognitivi prodotti dall’evoluzione.

 

Robert Gifford, docente di psicologia e studi ambientali alla Victoria University, ha invece individuato sette barriere psicologiche all’azione rispetto ai cambiamenti climatici, che ha chiamato i "draghi dell’inazione”:

- cognizione limitata sul problema

- visioni ideologiche del mondo che tendono a precludere atteggiamenti pro-ambientali

- confronti con altre persone chiave

- costi irrecuperabili e slancio comportamentale

- discrezionalità verso esperti e autorità

- rischi percepiti di cambiamento

- cambiamento comportamentale positivo ma inadeguato.

Gifford, che dirige un laboratorio che indaga sistematicamente questi "draghi", è dubbioso sul fatto che rimuovere tutte le barriere sia comunque sufficiente a spingere all’azione.

Recentemente, (altro…)

Protocollo di KyotoRecordStatisticheTemperature

2019: tanto per cambiare, ancora un anno sul podio

Come ogni anno, diamo uno sguardo alle temperature medie globali dell’anno appena terminato guardando i dati grezzi e “grigliati” NCEP/NCAR. Anche il 2019 non ha battuto il record del 2016, anno di forte fase positiva di El Niño, ma non vi è andato molto distante – questione di decimi – risultando al secondo posto (scalzando il 2017), e probabilmente si classificherà tra il secondo e il terzo posto negli elenchi dei vari database internazionali con cui siamo soliti confrontare i...
AssorbimentiforesteRimozione CO2

Le foreste ci salveranno?

Basta piantare alberi per affrontare la crisi climatica? Aumentare, mantenere e gestire sostenibilmente le foreste è necessario, ma non sufficiente. Pur se piantare nuovi alberi è molto utile, la drastica riduzione delle emissioni di CO2 legate ai combustibili fossili resta inevitabile. “Climate change? Basterebbe una foresta grande come gli Usa”. Cosi titolava il Corriere della Sera, proprio nei giorni del fallimento dellaconferenza ONU sul clima a Madrid. Attraverso un’intervista al Prof. Stefano Mancuso, noto divulgatore scientifico e molto popolare tra...
Accordo di ParigiCOPNegoziazioni

L’ambiguo insuccesso della COP25

La COP25 di Madrid è stata una delle Conferenze della Parti della Convenzione sul clima più tese e concitate degli ultimi anni, finita in grande ritardo e con l’adozione di numerosi documenti che, ancora una volta, hanno scontentato molti. Alle ore 13.55 di domenica 15 dicembre 2019 si è chiusa a Madrid la COP25, con l’adozione di numerose decisioni, disponibili sul sito UNFCCC, fra cui quelle sui punti più controversi, che qui commentiamo. I tre tavoli negoziali (la conferenza della...
Accordo di ParigiCOPNegoziazioni

La COP25 di Madrid e l’art. 6 dell’accordo di Parigi

Si è aperta in questi giorni a Madrid la COP25, la venticinquesima Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sul Clima delle Nazioni Unite (UNFCCC), sotto la presidenza cilena. I numerosi tavoli negoziali paralleli riguarderanno principalmente altri punti tecnici relativi all’implementazione dell’Accordo di Parigi, dopo che nella precedente COP24 è stato approvato il “libro delle regole” (Katowice package). Ricordiamo quanto scritto un anno fa sui 5 errori da evitare quando si racconta una COP (“è stato un nulla di fatto”, “i...
DisinformazioneLibri

Mercanti di dubbi

È uscita la versione italiana di “Merchants of doubt” di Naomi Oreskes ed Erik Conway. Un libro importante per capire le radici della disinformazione sul tema dei cambiamenti climatici Pubblicato per la prima volta nel 2010, Mercanti di dubbi è diventato subito uno dei testi di riferimento per chi si occupa di storia della scienza, della medicina e di climatologia, e resta ancora un passaggio ineludibile per capire i rapporti tra scienza, democrazia e informazione. Secondo Naomi Oreskes ed Erik...
AppelloTraduzioni

Appello degli scienziati del mondo sull’emergenza climatica

Pubblichiamo la traduzione dell’appello uscito su Bioscience, sottoscritto da più di 11.000 scienziati da 153 paesi (elenco qui). Una sintesi efficace delle tante solide conoscenze scientifiche sul tema del cambiamento climatico, riassunte in una serie di grafici che mostrano l’inequivocabile andamento degli effetti delle attività umane e delle risposte del sistema climatico. Gli scienziati hanno l’obbligo morale di avvertire chiaramente l’umanità di ogni minaccia catastrofica e di dire le cose come stanno. Sulla base di questo obbligo e degli indicatori...
BufaleCO2DisinformazioneErrori

L’esperto di energia che fa errori madornali sul cambiamento climatico

Da un autore di molti studi su questioni energetiche ed ambientali ci si aspetterebbe la conoscenza delle basi del ciclo del carbonio e dei cambiamenti climatici. E invece… Fra i tanti (troppi) che sui quotidiani e in televisione hanno scritto e detto errori e falsità sul tema dei cambiamenti climatici, uno dei casi più strani è quello di Davide Tabarelli, fondatore e Presidente di NE – Nomisma Energia, società di ricerca sull’energia e l’ambiente, membro dell’Advisory Board dell’ENI sulla transizione...
Climalteranti.it
Dibattito

Una risposta a Beppe Severgnini: non c’è la libertà di disinformare

Sulla rubrica “Italians” del Corriere della Sera, Beppe Severgnini ha sostenuto in risposta alla lettrice Sara Milanesi la necessità di pubblicare tutte le opinioni, anche quelle che negano la scienza del clima. Pubblichiamo la replica di Paolo Gabrielli, in cui si spiega come la libertà d’opinione non dovrebbe essere confusa con la libertà di disinformare.   Lettera di Sara Milanesi Caro Beppe, che vergogna che pubblichiate lettere disinformanti come “Global Warming: e l’alto Medioevo?” di mercoledì 16 ottobre senza neppure...
DisinformazioneErroriMitomaniaTelevisioni

Un delirio a Otto e mezzo: altri record per il Prof. Battaglia

Nella puntata di Otto e mezzo del 28 settembre, il presunto esperto Prof. Franco Battaglia è riuscito a proferire 24 fra falsità e dati sbagliati sul tema dei cambiamenti climatici nei suoi 11 interventi durati in tutto 10’33”. In media, un errore ogni 26 secondi. Ogni volta che prende la parola in media riesce a dire almeno due cose sbagliate. Abbiamo scritto una lettera alla conduttrice. È stata inoltre creata su Change.org una petizione “Cambiamenti climatici: nessuno spazio per posizioni...
Premio

Premio “A qualcuno piace caldo” 2018

Il raggiungimento dell’estensione minima dei ghiacci artici è tradizionalmente l’occasione per assegnare il Premio “A qualcuno piace caldo”, “alla persona o all’organizzazione italiana che più si è distinta nel diffondere argomentazioni e notizie errate sulla fenomenologia dei cambiamenti climatici, sugli impatti e sui costi e benefici delle misure di mitigazione”. Come per l’anno 2017, in cui il premio non è stato assegnato, per l’anno 2018 i membri del Comitato Scientifico di Climalteranti non hanno trovato negli interventi sui principali quotidiani...