“Storie del Clima”, un libro sulla storia variegata e affascinante della climatologia
Alcuni degli slogan o dei commenti superficiali del negazionismo climatico orbitano intorno a un paio di temi principali: “Gli scienziati non sanno molto/non hanno capito molto di come funzioni il clima”, a sua volta connesso con “Gli scienziati sono in disaccordo sull’origine antropica del riscaldamento globale” e sul tema, già trattato ampiamente da Climalteranti, della climatologia che apparentemente non sarebbe “una scienza esatta”, ossia in grado di fornire previsioni affidabili, oppure persino che non sarebbe una scienza “galileiana”, ossia in grado di provvedere a esperimenti per testare le proprie ipotesi.
Anche per questo è nato Storie del Clima – dalla Mesopotamia agli Esopianeti, per la collana Microscopi di Hoepli Editore. Il libro vuole raccontare la storia della climatologia, come scienza di umilissime origini (clima è, per Eratostene, una fascia di territorio su cui il sole ha la medesima inclinazione) che ora si trova al centro del dibattito scientifico, ma anche politico e sociale, del mondo intero. Si parte dalle prime osservazioni e interpretazioni mesopotamiche per arrivare a quanto la climatologia possa dirci del clima di altri pianeti, passando attraverso il radicamento delle sue solide basi scientifiche e la scoperta, sempre più evidente e sempre più urgente, del riscaldamento globale di origine antropica. Questa evidenza e questa urgenza, con buona pace di molti negazionismi anche scientifici nostrani, è stata definitivamente consacrata dalla recentissima assegnazione del premio Nobel per la fisica a Manabe, Hasselmann e Parisi, proprio per i loro contributi alla modellizzazione di sistemi complessi e alla quantificazione del riscaldamento globale di origine antropica (si veda anche il post dedicato da Climalteranti). (altro…)
I risultati della COP26 fra realtà, impazienza e cancel culture
Anche quest’anno i giudizi sul risultato della Conferenza delle Parti della Convenzione sul Clima sono stati caratterizzati da un’insoddisfazione più o meno velata. Ma anche se il lento e progressivo lavoro del negoziato sul clima non è all’altezza della grande urgenza che pone il cambiamento climatico in corso, la COP26 ha prodotto diversi risultati tutt’altro che trascurabili, che in passato – in tempi meno impazienti - sarebbero stati considerati dei successi.
La COP26 che si è svolta a Glasgow dal 31 ottobre al 13 novembre è stata di gran lunga la COP più seguita: la copertura di radio e televisioni è stata eccezionale, con frequenti servizi ad hoc nei telegiornali, aperture e tante pagine nei quotidiani nazionali. Per chi segue da anni le COP, si tratta di qualcosa che va al di là delle più rosee aspettative degli anni scorsi: il negoziato sul clima è vivo, ha un ruolo centrale nell’azione globale contro il cambiamento climatico. Le forze che in passato hanno cercato di marginalizzarlo, per lasciare spazio solo ad accordi bilaterali fra gli Stati (senza un negoziato quadro multilaterale), non potevano perdere in modo più clamoroso.
I risultati della COP26 hanno tuttavia lasciato molti scontenti, per motivi anche opposti. Si va da chi ci ha visto solo un inutile esercizio retorico, a chi (il forum dei paesi esportatori di gas) si è lamentato per la presenza alla COP26 della “cancel culture” verso i combustibili fossili! (nrd: per cancel culture (in italiano cultura del boicottaggio) si intende “una forma di ostracismo nella quale qualcuno diviene oggetto di indignate proteste e di conseguenza estromesso da cerchie sociali o professionali”). Va anche sottolineato che molti degli scontenti hanno evidenziato una scarsa conoscenza del processo negoziale e dei reali risultati della conferenza.
Oltre cinquanta le decisioni formalmente approvate a valle delle due settimane di lavoro, e tante altre dichiarazioni e impegni che, pur se non adottati formalmente, ne costituiscono un supporto fondamentale. Così tanti e complessi che non è facile fare un riassunto. Chi ci ha provato ha prodotto documenti pesanti, come la dettagliata e al solito ottima analisi approfondita dell’IISD – Earth Negotiations Bulletin (ENB) (40 pagine, ma la sostanza è in particolare nelle tre pagine delle conclusioni, da 37 a 39), nonché l’analisi di dettaglio dei risultati fatta da Carbon Brief, che vista la lunghezza potrebbe in futuro cambiare nome… in Carbon Long.
Come si diceva nel precedente post (ma anche per la COP25 di Madrid), inevitabilmente la COP26 non ha soddisfatto le eccessive attese e richieste, molte delle quali incompatibili con l’agenda, la struttura e i tempi del negoziato multilaterale sul clima. Ma ci sono alcuni punti fermi sui risultati, da cui si può partire per valutare quanto questa COP26 possa davvero essere, come è stato detto, la prima stazione di partenza del “treno dell’ambizione”.
Ne presentiamo alcuni, e rimandiamo a successivi post o all’analisi del post di Carbon Brief per altri approfondimenti importanti. (altro…)
Il successo e il fallimento alla COP26
La COP26 di Glasgow che si è aperta domenica 31 ottobre sta suscitando grandissime attese, e mai come quest’anno c’è attenzione sui suoi possibili risultati. Come per gli anni passati, le aspettative sulle conclusioni del lavoro della COP26 si basano molto spesso su una visione semplicistica del negoziato sul clima (e su come limitare gli impatti dei suoi cambiamenti). Alla Conferenza delle Parti sono attribuiti obiettivi e poteri che non le appartengono, e che finiscono per descrivere i possibili risultati del negoziato di queste settimane solo con la dicotomia “successo” vs “fallimento clamoroso”. Risultati intermedi non sembrano possibili o sono visti comunque come un fallimento.
Spesso il motivo per cui si sente già annunciare il fallimento della COP26 è che le ipotesi di successo si fondano su scenari fuori dalla realtà: sembrerebbe che nei 13 giorni del negoziato potrebbero essere prese decisioni in grado di risolvere la crisi climatica, permettendo di mantenere le temperature globali al di sotto di 1,5°C; e se queste decisioni, che nessuno prova neppure a descrivere negli aspetti concreti, non arrivassero, la COP sarebbe fallita.
Chi accetta questo tipo di impostazione sarà inevitabilmente deluso da quanto avverrà a Glasgow. Su queste basi, il fallimento è inevitabile. (altro…)
Illusione e pregiudizio. Ferruccio de Bortoli e la retorica che porta al ritardo nell’agire contro il riscaldamento globale
In due articoli di uno dei principali giornalisti italiani si ritrovano molti degli argomenti classificati in una recente pubblicazione come tipici ingredienti dei “Discourses of climate delay”
Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera e firma tra le più esperte e autorevoli del giornalismo economico italiano, è recentemente intervenuto sulla transizione energetica con due ampi articoli. Il primo sul Corriere Economia del 13 settembre scorso, prendendo spunto dalle polemiche seguite dalle dichiarazioni del Ministro Cingolani sul nucleare, per denunciare che il dibattito “è viziato da troppi equivoci, diffuse illusioni e pregiudizi ideologici”. Il secondo sul Corriere della Sera del 3 ottobre, in forma di editoriale, dal titolo “Le promesse e le verità del colibrì”; un commento al richiamo ad abbandonare il “bla bla bla” pronunciato da Greta Thunberg al meeting dei giovani dedicato al clima a Milano. Si tratta di due articoli che letti con attenzione svelano alcune delle retoriche che vanno per la maggiore nel dibattito sulla transizione energetica.
“Sono solo un climatologo”: la portata storica del Nobel in fisica a scienziati del clima
“Il premio Nobel è il sogno di tanti scienziati, ma la reazione di Hasselmann ‘preferirei non avere il riscaldamento globale né premio Nobel’ cattura bene l’ambiguità che proviamo in molti nel prevedere con successo eventi e tendenze che non vogliamo che si avverino.” Gavin Schmidt [1].
Secondo John Wettlaufer della Yale University, la reazione di Syukuro Manabe alla notizia dell’essersi laureato Premio Nobel in fisica per il 2021 è stata di assoluta sorpresa, sottolineata dal commento: “But I’m just a climatologist! (Ma sono solo un climatologo!)”.
In questa reazione di Manabe, Premio Nobel insieme con Klaus Hasselmann e Giorgio Parisi, sta tutta la portata storica dell’assegnazione del Nobel in fisica a scienziati del clima, e si ritrova tutta la storia di una disciplina che è stata ritenuta per secoli meramente compilatoria e classificatoria [2], un discorso debole [3], una scienza dotata solo di ‘una visione descrittiva del mondo naturale’ [4] e che, nel XX e nel XXI secolo, ha dovuto spesso lottare contro semplificazioni e negazionismi che non la volevano ‘scienza esatta’, ossia una scienza in grado di fornire accurate modellizzazioni e previsioni sul mondo naturale. Climalteranti si è occupata della querelle sulla climatologia come ‘scienza esatta’ qui e qui.
I media italiani hanno giustamente trattato dell’importanza del riconoscimento per il fisico Giorgio Parisi, il cui lavoro sui sistemi complessi ha a sua volta contribuito ad una comprensione più profonda del sistema atmosfera e del sistema clima, entrambi sistemi complessi “naturali”. In questo senso, uno dei lavori più importanti di Parisi è del 1982, e tratta della risonanza stocastica nel cambiamento climatico, ossia dell’amplificazione di perturbazioni casuali connessa all’interazione di processi non lineari nel sistema climatico nel contesto di forzanti esterne ad esso [5]. Qui vorremmo soffermarci un po’ di più sui ruoli chiave di Manabe (nella foto) e di Hasselmann, meno ampiamente trattati dai mezzi di informazione in lingua italiana. (altro…)
La transizione energetica a Piazzapulita: l’inattivismo fra errori, falsità e brum-brum (seconda parte)
La seconda puntata di Piazzapulita che si è occupata della transizione ecologica, il 30 settembre, ha iniziato ad affrontare il tema dopo 2h 15’ 40’’. Come nella prima puntata, l’introduzione ha proposto un frame negativo, se non derisorio.
Una grande impostura?
Il conduttore Corrado Formigli si rivolge all’autore e critico televisivo Carlo Freccero, dicendo “C’è chi la pensa come te, c’è chi pensa che la transizione ecologica sia una grande impostura.. e come la pandemia sia un pretesto…”
Freccero si sovrappone in modo piuttosto esagitato spiegando che il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) si inserirebbe nel disegno di un grande “reset” di cui aveva parlato in precedenza.
Riprende Formigli “Guardate che sull’auto elettrica ci hanno massacrato perché abbiamo fatto qualche critica.”
Interviene l’esperto virologo prof. Crisanti “Io ce l' ho l’auto elettrica, mi devo sentire in colpa?”
Formigli “No no, per niente, si deve guardare il blocco pure Lei, perché è eccezionale”
Prima della pubblicità parte quindi un servizio con il rumore di brum-brum di un’auto sportiva rossa, con un signore sorridente alla guida a cui la giornalista di PiazzaPulita grida (per sovrapporsi al forte rumore del motore) “Sembra di stare su una pista di decollo… ogni sgasata c’è una Greta Thumberg o un’ecologista che muore”. (altro…)
La transizione energetica a Piazzapulita: l’inattivismo fra errori, falsità e brum-brum (prima parte)
Due puntate della trasmissione Piazzapulita hanno mostrato come le difficoltà della transizione energetica siano anche dovute al ritardo culturale del giornalismo italiano, all’incapacità di costruire un racconto e un dibattito su un tema complesso che non sia caratterizzato da confusione, approssimazione e una quantità davvero eccessiva di fake news. E viziato da un frame inattivista.
La prima delle due puntate della trasmissione Piazzapulita che ha affrontato il tema della transizione energetica (23 settembre, si può rivedere qui), ha avuto come ospite il ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani, ed è stata caratterizzata da alcune informazioni utili agli spettatori, condite con una quantità molto elevata di errori e vere e proprie bufale. Prima di esaminarli, riportando le affermazioni e le necessarie correzioni, è però necessario valutare il modo con cui è stato introdotto il tema della transizione ecologica.
Una voce dalla prima linea della nuova guerra del clima
È uscito nelle librerie l’edizione italiana del nuovo libro di Michael Mann “La nuova guerra del clima” (Edizioni Ambiente), un libro importante nel dibattito su come contrastare la crisi climatica e le forze che impediscono il cambiamento.
Se quella contro il cambiamento climatico può essere definita una guerra, Michael Mann è da un paio di decenni in prima linea. Lo era a fine anni ’90, quando da giovane ricercatore fu costretto a subire pesanti attacchi a causa dei risultati delle sue ricerche. Lo è oggi, da climatologo di fama mondiale, con un curriculum impressionante fatto di decine pubblicazioni scientifiche sulle riviste più prestigiose, ma anche una delle voci più incisive e ascoltate del dibattito internazionale sul clima.
Da questa posizione Mann fornisce un racconto utile per orientarsi in questi tempi in cui finalmente il cambiamento climatico è entrato nel dibattito pubblico, presente regolarmente sui giornali e nelle homepage dei portali informativi online. E non solo a causa dei disastri causati dal surriscaldamento globale.
Anche se la situazione degli Stati Uniti ha molti aspetti particolari, il libro di Mann è di grande importanza anche per noi italiani ed europei. Anche sui nostri mezzi di informazione e sui nostri social si possono incontrare le diversi tipologie di inattivisti del clima (splendido neologismo usato da Mann): chi diffonde disinformazione, chi inganna, chi cerca di dividere gli ambientalisti, chi vuole rallentare le azioni, chi sparge disperazione e rassegnazione.
Pensiamo ad esempio alle reazioni che ci sono state al pacchetto “Fit for 55” proposto nel luglio 2021 dalla Commissione europea. Un atto legislativo inevitabile, un passo necessario nel percorso per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi, per raggiungere gli obiettivi della Legge europea sul clima approvata il precedente dicembre da Parlamento e Consiglio europeo. Eppure, quante voci hanno diffuso timori per i possibili costi per consumatori e aziende, con toni da tragedia. Quante altre hanno cercato di mettere in discussione l’utilità delle energie rinnovabili o della tassazione della CO2. Quante hanno cercato di personalizzare gli attacchi, quel “shooting the messenger” (sparare al messaggero) di cui parla Mann.
O pensiamo a quanto, anche da noi, ha preso piede la narrazione dell’inevitabilità della catastrofe climatica, della prossima inabitabilità della Terra, dell’estinzione dell’umanità all’orizzonte, o dell’inutilità delle contromisure. Sempre di più anche da noi sono le voci che esagerano una situazione già abbastanza grave, come recita il titolo del capitolo 8 del libro.
La nuova guerra del clima non è solo un racconto dettagliato dei tanti assalti alla scienza e alle politiche climatiche da parte del negazionismo al soldo delle lobby fossili, dei politici sul loro libro paga, dei legami di questi poteri con i media di Murdoch o con gli oscuri hacker russi, delle tecniche usate per diffondere la disinformazione. È anche una rassegna aggiornata delle diverse forme di negazionismo soft: che non mette più in discussione la realtà del riscaldamento globale e delle responsabilità umane, ma cerca argomenti e tecniche più efficaci per lo stesso obiettivo, impedire le riforme legislative che potrebbero ridurre i profitti del sistema energetico basato sui combustibili fossili. Ad esempio spostando l’attenzione sui comportamenti individuali, enfatizzandone l’importanza in un’azione di distrazione di massa. È un album degli attori in campo, riportati con nomi e cognomi, con i dettagli delle loro dichiarazioni o con i link ai loro tweet. Molti di questi nomi, i vari Bjorn Lomborg, Michael Shellenberger o Michael Moore hanno avuto notorietà anche in Italia.
Mann ha parole molto dure sui danni portati da alcuni interventi che molto hanno fatto discutere e riflettere, ad esempio i saggi “La terra inabitabile” di David Wallace-Wells o “E se smettessimo di fingere” di Jonathan Franzen. Mann mette in guardia dalla pericolosità di visioni eccessivamente cupe del nostro futuro, sente il pericolo che possano portare a paralisi e disperazione. Arriva a definirle “pornografia climatica” e ci esorta a leggere con freddezza i dati scientifici: seppur l’incertezza non è nostra amica, le migliori proiezioni non prevedono quegli scenari (si veda ad esempio il capitolo 4 del recente Sesto Rapporto IPCC-WG1). È ancora possibile incidere sulla traiettoria delle temperature del pianeta. Non è affatto inevitabile che le previsioni più fosche debbano avverarsi. Quello che gli esseri umani faranno nei prossimi anni e decenni conta, eccome. (altro…)
Il livello del mare nel 6° assessment report dell’IPCC (AR6)
Pubblichiamo la traduzione in italiano del post pubblicato dall’oceanografo Stefan Rahmstorf su Realclimate su un tema chiave nel dibattito scientifico sugli impatti del riscaldamento globale.
Anticipo le mie 3 principali impressioni:
- le proiezioni per il 2100 del livello del mare sono state ancora corrette verso l’alto;
- l’IPCC ha introdotto un nuovo scenario di rischio di alta fascia, stabilendo che un innalzamento globale del livello “che si avvii verso 2 m per il 2100 e 5 m per il 2150 in uno scenario di altissime emissioni di gas serra non può essere escluso a causa dell’incertezza sui processi delle calotte glaciali”;
- l’IPCC presta più attenzione al grande innalzamento del livello del mare di lungo termine, oltre l’anno 2100.
Qui è riportato il grafico principale sul livello del mare presente nel Sommario per i Policymaker (ndt: traduzione di Erminio Cella).
Fonte: IPCC AR6, Fig. SPM.8
Questo illustra chiaramente come il livello del mare inizi a salire lentamente; ma a lungo termine, l’innalzamento causato dalla combustione dei combustibili fossili e dalla deforestazione potrebbe letteralmente uscire dal diagramma, portando all’inondazione di molte città costiere e cancellando dalle carte geografiche intere nazioni insulari. Ma cominciamo dalle cose fondamentali. (altro…)
Il sesto rapporto IPCC
È in corso di svolgimento a Ginevra il meeting IPCC che si concluderà il 9 agosto con il rilascio del 6° Rapporto del Primo Gruppo di lavoro, sulle basi fisiche del cambiamento climatico (Climate Change 2021: the Physical Science Basis).
Si tratta di un documento scientifico di grande interesse, perché riassume le conoscenze scientifiche sulla fenomenologia del problema, ad esempio sui dati che mostrano l’inequivocabile surriscaldamento globale in corso, i diversi modi in cui emerge in modo chiaro l’influenza delle attività umane, le proiezioni future a livello globale e regionale.
Il rapporto è diviso in 12 capitoli:
1: Framing, context, methods
2: Changing state of the climate system
3: Human influence on the climate system
4: Future global climate: scenario-based projections and near-term information
5: Global carbon and other biogeochemical cycles and feedbacks
6: Short-lived climate forcers
7: The Earth’s energy budget, climate feedbacks, and climate sensitivity
8: Water cycle changes (altro…)

2019: tanto per cambiare, ancora un anno sul podio

Le foreste ci salveranno?

L’ambiguo insuccesso della COP25

La COP25 di Madrid e l’art. 6 dell’accordo di Parigi

Mercanti di dubbi

Appello degli scienziati del mondo sull’emergenza climatica

L’esperto di energia che fa errori madornali sul cambiamento climatico

Una risposta a Beppe Severgnini: non c’è la libertà di disinformare

Un delirio a Otto e mezzo: altri record per il Prof. Battaglia
